Ignazio Maria Benito… Dopo l’elezione di La Russa la sinistra si aggrappa ai nomi come arma politica

15 Ott 2022 11:46 - di Valerio Falerni
Benito

«Nomen omen», ammonivano gli antichi: nel nome, il destino. E, di destini, quello di Ignazio Maria Benito La Russa sembra incrociarne tanti, almeno a detta di chi in queste ore si sta divertendo come un matto a metterli in fila uno dietro l’altro. Cosicché, se Ignazio rinvia direttamente al fondatore dell’ordine dei Gesuiti, il Maria sembrerebbe svelare un congenito endorsement pro-gender. Quanto al cognome La Russa, c’è poco da fare: schiera il suo titolare irrimediabilmente sulla barricata di Vladimir Putin. Ma ovviamente resta Benito il nomen omen più ingombrante. Che il neopresidente del Senato si chiamasse anche così, era noto solo all’ufficiale dell’anagrafe di Paternò, dove è nato, ai parenti più stretti e (forse) agli amici più intimi.

Orrore: il presidente del Senato si chiama anche Benito

Ma è bastato che ascendesse al più alto scranno di Palazzo Madama perché il suo battesimo s’illuminasse d’immenso fino a diventare il nuovo corpo contundente della rissa politica ad uso dei figli della solita mamma sempre incinta. «Ma proprio uno come Ignazio Maria Benito La Russa doveva diventare presidente del Senato?», si è sfogato l’altra sera Corrado Formigli nel suo one man show travestito da approfondimento. E su quel nome scandito come una litania si è soffermata anche Concita (quale l’omen in questo caso?) De Gregorio per dire che no, non è possibile che uno con un così pesante Benito sul groppone andasse a ricevere investitura dopo il discorso di Liliana Segre.

Dal body al name shaming

Insomma, dopo averci convinto sulla necessità di contrastare il body shaming (deridere o discriminare una persona per i suoi difetti fisici) la cultura de sinistra si è convertita al name shaming. Lo ha sperimentato a sue spese anche Adolfo Urso, inadeguato per via del suo nome – a detta di  Luca Bottura, stessa scuderia della Concita – a dare rassicurazioni agli americani sulla fede atlantista di Giorgia Meloni. E dire che in quell’occasione fu proprio la De Gregorio a rimettere in riga il collega. Incredibile, ma vero. Perciò, non so a voi, ma a me da allora un atroce sospetto mi divora: non è che per lei Adolfo è meglio di Benito?

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