Comunismo e femminismo pari sono: ecco perché la premier donna agita la sinistra
È prima volta di una donna a Palazzo Chigi, ma le vestali del femminismo si bardano a lutto: «Una di noi Giorgia Meloni? Jamais». Diversamente, ragiona Laura Boldrini, oltre ai Fratelli avrebbe evocato anche le Sorelle d’Italia. Non fa una piega. E non è tutto: sull’Huffington Post la comunista Ritanna Armeni ha fatto un po’ di conti, concludendone che con sei donne ministro su 24 hai voglia a parlare di politiche al femminile. Persino se chi dirige l’orchestra è pure lei donna. E poi ci sono quelle storcono il naso per il “retaggio culturale missino” o alzano il sopracciò per il mancato “passato femminista“. Insomma, da qualunque parte la si guardi e da qualsiasi lato la si giri, la Meloni ha non è né mai sarà (meno male) una di loro.
Il patriarcato ha sostituito il padronato
E si capisce: predilige autodefinirsi “il premier” anziché “la premier” (con evidente disappunto dell’Usigrai, il sindacato simil-sovietico dei giornalisti Rai), “il presidente” piuttosto che “la presidente“, buttando così alle ortiche decenni di “conquiste“, soprattutto boldriniane. Ma tant’è: la Meloni è per la complementarità uomo-donna, le femministe doc si battono invece per la demolizione del patriarcato come nuovo simbolo, anzi reincarnazione, del padronato. Il sovvertimento degli equilibri è infatti il punto in cui comunismo e neo-femminismo s’intrecciano fino a fondersi.
Il femminismo surrogato della lotta di classe
Anzi, si può ben dire che il secondo sia divenuto il surrogato del primo. Laddove il comunismo ha perso la sua battaglia contro il capitalismo, è spuntato il nuovo femminismo a fare da contrappunto ad un insistente patriarcato, inteso come nuovo strumento oppressivo. Dalla lotta di classe alla guerra dei sessi. Robe da Ztl. Infatti la sinistra radical-chic non parla d’altro. Non per caso scarica la propria úbris sovversiva sulla cosiddetta questione di genere. E anche con grande compiacimento dei padroni del vapore, cui non sembra vero poter approfittare di una sinistra in tutt’altre faccende affaccendata per fare il proprio comodo nel campo dei diritti sociali e del lavoro. Almeno fino a quando non arriva qualcuno a dare voce alle istanze reali della gente in carne e ossa. Esattamente quel che in Italia ha fatto Giorgia Meloni.