Beatrice Venezi sta con la Meloni: “Lei è il Presidente, io il direttore”. Conta il ruolo, non la declinazione
Conta il ruolo, non la declinazione con cui puntualizzare l’incarico. Il direttore d’orchestra Beatrice Venezi, che Il Giornale ha intervistato in esclusiva, bolla senza se e senza ma le polemiche strumentali – e a questo punto davvero noiose e pleonastiche – scatenate all’indomani dell’insediamento di Giorgia Meloni nella veste istituzionale di Presidente del Consiglio. Critiche scagliate da un nugolo di femministe d’antan, impegnate sia sul fronte politico che su quello propagandistico della moral suasion, a ristabilire una grammatica deontologica e comunicativa impregnata di stilemi e grafemi votate alla battaglia sessista. Animando un dibattito di recriminazioni e rivendicazioni che sia premier che musicista hanno deciso di ignorare cordialmente.
Beatrice Venezi come Giorgia Meloni: conta l’incarico, non l’articolo
Ed è loro la vera rivoluzione (lessicale, oltre che sociale), agita sul piano filologico, come su quello civile e pubblico. Peraltro, a Beatrice Venezi va sicuramente riconosciuto di aver palesato la propria dichiarazione di fede linguistica già nei giorni dell’ultimo Festival di Sanremo. quando, come ricorda il quotidiano che l’ha intervistata, il direttore d’orchestra ha rivendicato il diritto a non vedersi declinare ruolo e professione al femminile. Una scelta che le è costata, in quell’occasione, commenti al vetriolo e finanche insulti. Una reazione che si ripropone oggi, rispetto alla quale nell’intervista a Il Giornale la Venezi argomenta: le polemiche tra “il” o “la”? «Sterili, come tutte le polemiche di questo tipo. Come del resto è stato debole l’attacco che ha ricevuto sul pericolo delle donne che rimangono un passo indietro rispetto agli uomini».
«Riconosciamo la funzione e diciamo che ha stessa validità per un uomo come per una donna»
Una posizione ben precisa, quella che Venezi ribadisce di avere scelto, e su cui rileva: «Sono contenta di vedere il trend anche nel mondo. Per mia formazione e per lavoro mi confronto con l’estero e vedo che non è solo una mia idea. È il tema che viene affrontato in Francia in questi mesi, dove autrici e scrittrici che hanno sollevato una polemica sul fatto che vogliono essere chiamate “autori” e non “autrici”. Nell’ottica di una pari retribuzione, di una pari dignità del lavoro e opportunità. Ed è questo quello che dico io quando rivendico di essere direttore d’orchestra: riconosciamo la funzione e diciamo che ha la stessa validità, lo stesso peso, la stessa retribuzione e la stessa opportunità, sia che si tratti di una donna che di un uomo. Così ne riconosciamo il merito».
Come per ricoprire un ruolo occorre il merito: altro termine finito all’indice…
Già, il merito: un’altra delle parole finite all’indice del mainstream, snaturata nel suo significato e depauperata del valore simbolico che traduce in termini. Un altro punto del dibattito in corso – per la gioia dei puristi e, sicuramente meno, per quella dell’opinione pubblica maggiormente interessata ad altro – su cui Beatrice Venezi concorda con le scelte sulla denominazione dei Ministeri del nuovo esecutivo di centrodestra. «A me ha fatto molto piacere che la parola “merito” sia venuta fuori fin dai primissimi giorni di governo», ha confessato il direttore d’orchestra nell’intervista. «Perché – ha quindi proseguito – è ciò che nel nostro Paese manca, ossia la pura ed esclusiva valutazione del merito al di fuori di qualsiasi altra logica, politica o partitica, di appartenenza a un genere o a un gruppo, che alla fine diventa lobby. La parola merito fa molto bene alla nostra pubblica e privata amministrazione».
Per Beatrice Venezi, merito e affermazione femminile non passano per desinenze o quote rosa…
Merito e affermazione femminile non passano per il ricorso a desinenze, declinazioni, articoli e quote rosa insomma. Tanto che la Venezi aggiunge anche: « Cosa c’è di più grande nella lotta al patriarcato di una donna presidente del Consiglio? Già di per sé sarebbe sufficiente questo. Le è stata mossa l’accusa di assenza di quote rosa nel governo: alla fine ha fatto una scelta di merito». E poco dopo: «Questo dimostra a maggior ragione che le quote rosa non servono a nulla. È il modo estremamente maschilista di tenere a bada le donne». Concludendo pertanto positivamente che: «Mi fa piacere che ancora oggi ci sia un dibattito. Credo che, anche con l’esempio lampante di Giorgia Meloni, tutto assuma un significato ancora più profondo e innovativo»…