Katia Ricciarelli: «Io, donna di destra». E aggiunge: «Sono femminile, non femminista»
Dall’esito del voto «mi aspetto che venga premiato qualcuno di preparato, capace e attento alle esigenze del mondo della cultura. Sono sicuramente di destra, ma non faccio nomi. Devo studiare e capire meglio perché tutto cambia da un giorno all’altro». Katia Ricciarelli, in un’intervista a “La Verità”, si sofferma sulle elezioni politiche. Non nasconde le sue simpatie (del resto, non le ha mai nascoste). E risponde anche alle cantanti – da Loredana Bertè a Giorgia – che hanno attaccato Giorgia Meloni, “colpevole” di non essere femminista. «Credo che un premier debba essere aperto a tutti, uomini e donne a prescindere dai loro orientamenti sessuali». Poi specifica: «Io sono femminile, non femminista».
Katia Ricciarelli e l’attenzione ai giovani
Il suo desiderio? «Che ci sia più attenzione ai giovani. Insegnando, in due mesi ho incontrato 20.000 bambini inferiori ai dieci anni. Un giorno uno di loro è venuto sotto il palcoscenico e mi ha detto: “Signora Ricciarelli, ma è vero che il melodramma è una malattia incurabile?”. Questo dice tutto. Un bambino può non sapere, ma qualche adulto l’ha fuorviato. E poi, vorrei un’altra cosa… che avessimo meno tasse».
L’aneddoto su Mario Draghi
«Una volta», racconta Katia Ricciarelli, «prima che diventasse premier, ho incontrato Draghi alla stazione di Bologna. Stavamo salendo sul treno. Mi ha sorriso e ha detto agli uomini che lo accompagnavano di aiutarmi a salire. L’avrei abbracciato». Non è la prima volta che la grande artista parla di politica. Aveva già espresso la sua ammirazione per la leader di FdI: «Io sono un’estimatrice di Giorgia Meloni. È capace, ha un grande temperamento».
Il no di Katia Ricciarelli al politicamente corretto
Le sta stretto, molto stretto il politicamente corretto. Sempre a “La Verità” dice che non avrebbe accettato di cantare nella Carmen con il finale capovolto dal regista. «Nel melodramma ci sono sempre due che si amano, di solito il tenore e il soprano. E un terzo che rompe le scatole, il baritono. Quelle che muoiono sono chiamate eroine. Carmen è un peperino, una donna libera e libertina, che dopo aver fatto perdere il lavoro a Don José, ora che è ridotto sul lastrico, se ne va con un altro. Le storie sono così». Cambiando il finale si volevano denunciare i femminicidi… «Allora ammazziamo l’uomo? L’opera l’abbiamo inventata noi nel 1600 e cambiamo i finali? Mi viene da ridere. La vita reale è una cosa, il melodramma un’altra».