Siamo finiti dentro un futuro inatteso. Forse sta arrivando il tempo della “sglobalizzazione”

29 Ago 2022 10:56 - di Mario Bozzi Sentieri

Il termine non è dei più felici, ma ha una sua efficacia ed immediatezza: sglobalizzazione. In sintesi: la messa in discussione degli ultimi trent’anni caratterizzati dai mercati aperti e dall’interdipendenza economica, con risultati epocali. «La globalizzazione – scrive Pierluigi Mennitti, nell’editoriale dell’ultimo numero del quadrimestrale “Status”, dedicato alla “Sglobalization”  –  ha prodotto vincenti e meno vincenti, e anche perdenti: c’è stato chi non è riuscito ad agganciarsi al treno e c’è chi lo ha fatto andando in affanno un momento dopo essere salito sul convoglio». Ora però molte delle vecchie certezze sono in discussione, a causa anche di quelli che lo stesso Mennitti definisce gli scricchiolii del sistema: crisi delle catene di approvvigionamento globali, competizione per le materie prime, reshoring, cioè il ritorno delle produzioni industriali nei Paesi d’origine delle aziende.

La “sglobalizzazione” e la società moderna

“Status” offre, in questa prospettiva, un vero e proprio dossier a più voci da cui ci piace cogliere alcune indicazioni di massima: la visione di un nuovo bipolarismo (Cina e Russia da una parte Usa dall’altra) con  un futuro ibrido, in cui  l’interdipendenza sul fronte digitale, della lotta alla pandemia, della mobilità, dell’informazione e sul piano economico non sarà sufficiente a garantire i nuovi equilibri;  il venire meno della speranza che il mercato globale avrebbe reso universale una visione del mondo (così evidentemente non è stato come il modello cinese conferma); l’incertezza per  un futuro da “ripensare”; essere  consapevoli della sfida, puntando all’autonomia strategica nel campo della sicurezza energetica, della sicurezza cibernetica e dell’economia digitale, con filiere produttive complete nel nostro continente o, comunque, nell’ambito delle democrazie occidentali; lottare contro le tendenze oligopolistiche e oligarchizzanti che abbiamo anche all’interno dei sistemi politici ed economici democratici; le nuove limitazioni allo spostamento di merci e persone; le opportunità per l’Italia offerte dalla deglobalizzazione nel settore agroalimentare; il tramonto del  mondo interconnesso dell’informazione senza confini, a fronte di   una guerra parallela, quella delle new e di una nuova Rete che invece di globalizzarsi crea nuove cortine di ferro digitali; l’impatto demografico; il  riorientamento geopolitico dell’Europa destinato a spostare sempre di più il suo asse strategico verso il Mediterraneo; le diversificazioni in campo energetico.

Siamo finiti dentro un futuro inatteso

Il dato certo – alla luce di queste sommarie indicazioni – è che siamo finiti dentro un futuro inatteso, che cambia le prospettive, ma la partita è ancora tutta da giocare. E’ questo il grande compito del mondo della cultura, delle istituzioni rappresentative, del mondo del lavoro. Qui si gioca la sfida del futuro. Esserne consapevoli è il primo passo, avendo – ci sia concessa l’indicazione “di merito” – un nuovo finalismo, sociale e spirituale. Un maestro della cultura partecipativa, Ernesto Massi, alla fine degli Anni Quaranta del Novecento, così fissava la “questione sociale”: “Potremo ragionare di orientamenti economici quando ci saremo bene intesi sui fini sociali da raggiungere, che sono fini etici: perché il fine di ogni società è il perfezionamento dell’uomo e il bene comune. L’economia invece è la scienza dei mezzi, rispetto all’etica che è la scienza dei fini”.

Le questioni poste dalla “sglobalizzazione”

Di questo “finalismo”, di fronte alle nuove, grandi questioni poste dalla “sglobalizzazione”, è inderogabile, oggi, farsi carico, attivando finalmente adeguati strumenti di orientamento politico e sociale di ampio respiro. A partire dagli interessi nazionali, senza perdere di vista i contesti europei. Nel rimescolarsi delle carte della globalizzazione, sotto la spinta del Covid-19 e dell’emergenza bellica, prendere atto che il nostro continente, oggi, rappresenta l’area più debole ed esposta ai venti della crisi significa andare oltre le polemiche contingenti e gli interventi tampone. Da qui, anche da qui, deve prendere le mosse la stagione post globalista. Su questi crinali si gioca il nostro destino. Esserne consapevoli è il primo passo per attivare le doverose contromisure.

 

          

 

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