In Afghanistan si è consumato il delitto più odioso e invisibile: è stata uccisa e sepolta l’informazione
Riceviamo e volentieri pubblichiamo.
«È la stampa, bellezza!» ma non a Kabul. Ritorno al passato; in realtà un salto nel buio. Un salto in un luogo sconosciuto dove il buio oscurantista non lascia spazio a nessuna luce. Nessuna informazione, o forse è meglio dire: spazio solo all’informazione di regime. La fine di un tempo che aveva lasciato intravedere la speranza di un cambiamento possibile, se pur lento ed articolato. Tuttavia la speranza esisteva. Ora neppure più quella. A pagare un prezzo altissimo, in Afghanistan, ad una anno dal ritorno al potere del regime talebano, è stata l’informazione. Un prezzo che sul piatto della bilancia dei diritti umani, si equivale con le privazioni generalizzate pagate al diritto di esistere.
Un anno che ha già segnato le menti, oltre che i corpi lacerati dalle frustate, di milioni di afghani. I dati diffusi da Reporter senza frontiere (RSF) nel suo ultimo rapporto sono emblematici. Dal 15 agosto 2021 l’Afghanistan ha perso il 40% dei suoi mezzi di comunicazione e il 60% dei giornalisti; tra questi soprattutto le donne. In ben 11 province non si hanno notizie più della presenza di giornalisti. Ma il dato è assolutamente parziale. La profonda crisi economica ed il netto giro di vite sulla libertà di stampa, hanno lasciato il segno.
I Talebani hanno messo il bavaglio all’informazione libera
“Media e giornalisti sono soggetti a norme inique che limitano la libertà dei media e aprono la strada alla repressione e alla persecuzione. Le autorità devono impegnarsi a porre fine alle violenze e alle molestie inflitte agli operatori dei media e devono consentire loro di svolgere il proprio lavoro indisturbati” ha sottolineato il segretario generale di RSF Christophe Deloire. Nel rapporto di RSF si afferma inoltre che durante l’ultimo anno in Afghanistan almeno 219 testate giornalistiche e media più in generale, hanno cessato la loro attività.
Pochi dubbi dunque sul massiccio impatto che la caduta di Kabul e la creazione dell’Emirato islamico dell’Afghanistan hanno avuto sui media. L’Afghanistan contava su circa 11.857 giornalisti prima del 15 agosto 2021, ora sono solo 4.759. Le giornaliste donne poi sono le più colpite, oltre il 76% di loro non ha più un lavoro. Sono migliaia i giornalisti fuggiti dall’Afghanistan nell’ultimo anno, molti attualmente si sono stabiliti in Pakistan ma comunque con un futuro incerto.
La stampa censurata, ma anche la fame che avanza…
«È la stampa, bellezza!» Probabilmente è tra le battute cinematografiche più note di tutti i tempi. Battuta pronunciata da Ed Hutcheson-Humphrey Bogart alla fine del film di Richard Brooks Deadline, film del 1952. «È la stampa, bellezza! E tu non puoi farci niente! Niente!». Così dovrebbe essere, ma non in Afghanistan. Drammatica la fotografia che restituisce ad un anno dalla presa del potere da parte dei talebani Save the Children. “La crisi economica, la siccità devastante e le nuove restrizioni hanno sconvolto totalmente la vita delle ragazze, con conseguenze gravissime anche sulla loro salute mentale. Escluse quasi totalmente dalla società, la maggior parte soffre la fame e un quarto di loro mostra segni di depressione».
Dal rapporto della ONG internazionale emerge che «Il 97% delle famiglie è alla disperata ricerca di cibo a sufficienza per sfamare i propri figli e che le ragazze mangiano meno dei ragazzi. Quasi l’80% dei bambini ha dichiarato di essere andato a letto affamato negli ultimi 30 giorni, una probabilità che, ad oggi, coinvolge il doppio delle ragazze rispetto ai coetanei maschi. Da un anno i talebani hanno ordinato a migliaia di ragazze delle scuole secondarie di rimanere a casa, annullando così, di fatto, anni di progressi a favore della parità di genere. Dove c’è fame rimane poco spazio per occuparsi della mancanza di informazione. Dunque non è la stampa, ma «È la fame, bellezza! E tu non puoi farci niente! Niente!».