Così Giampaolo Pansa anticipò la deriva d’odio della stampa di sinistra. E il suo fallimento

30 Ago 2022 15:39 - di Gabriele Alberti
Giampaolo Pansa

Quanto manca una voce controcorrente e fuori dagli schemi  come Giampaolo Pansa (scomparso nel 2020) in questa campagna elettorale. Avrebbe riso  sfogliando Repubblica, le sue campagne alla ricerca dei fascisti immaginari, delle “onde nere“, delle inchieste sul nulla per denigrare tutto un mondo. E ascoltando le parole d’odio e delegittimanti di Letta e della sinistra che avvelenano quotidianamente il dibattito politico avrebbe detto: “Avevo ragione, avete sottovalutato i miei avvertimenti”. E’ stato il primo intellettuale e giornalista a prevedere il clima d’odio a cui stiamo assistendo. Nei suoi ultimi interventi tv, ormai vecchio e stanco, aveva avvertito che il clima politico si stava imbarbarendo. Lo definì “clima da guerra civile”. In tempi non sospetti – nel 2013 aveva pubblicato un libro per Rizzoli “Sangue, sesso, soldi”. Un pamphlet contro Repubblica in primis, a lungo il suo giornale, e contro la stampa di sinistra.

L’odio politico e la stampa: la “profezia” di Giampaolo Pansa

Proprio per questo suo intervenire in maniera ruvida gli era costato l’ostracismo. Lo spirito critico non alligna a sinistra, né ieri né oggi. Parallelamente agli odi che la sinistra gli versò addosso dopo la pubblicazione de “Il sangue dei vinti” fino ai testi in cui demoliva la retorica resistenziale. L’odio che su di lui si riversò è questo stesso odio che Pansa prefigurava abbattersi sul lessico dei quotidiani di sinitra e la dialettica politiche. Fu ripudiato da parte dei kompagni con l’accusa di revisionismo. E ricordiamo un articolo uscito su Micromega che lo dileggiava addirittura il giorno dopo la sua morte. In quel volume del 2013 Pansa attaccava Repubblica. “Un volume nel quale spiccano passaggi profetici contro la deriva presa allora” da certa stampa.

Giampaolo Pansa: la parola violenta è il “male” che corrode l’Italia

Scrive Pansa – ricorda Tommaso Lorenzini su Libero– che, martedì 12 marzo 2013, Ezio Mauro, direttore di Repubblica, pubblica un fondo di inedita durezza contro i parlamentari del Pdl che manifestano a Palazzo di Giustizia di Milano «a favore di Silvio Berlusconi, ritenuto vittima innocente della magistratura rossa»: 44 righe con vocaboli come “ordalìa finale”, “abusi”, “impunità” e il riferimento al Popolo delle Libertà come “un partito trasformato in un bullo collettivo, come se la democrazia fosse una taverna”. Se ne meravigliò Pansa: «Penso di conoscere bene Ezio. Grande professionista e grande fazioso. Un giacobino in doppiopetto. Molto geloso della propria identità di militante della sinistra, incurante del rischio che un quotidiano di rango come il suo possa alimentare il male che corrode l’Italia di oggi. Un cancro così evidente che chiunque legga qualche giornale, o veda alla televisione un talk show di battaglia, è in grado di descrivere. È l’uso sempre più frequente della parola violenta, l’abitudine al linguaggio minaccioso, il ricorso all’insulto come arma politica, la deformazione della verità quando conviene alla tua fazione».

Le responsabilità che Pansa attribuiva a Repubblica

Che dire di più? Il giornalista di lungo corso vedeva oltre. L’aggressività nei suoi confronti era lo specchio di questa direzione presa da molti quotidiani che anche oggi sfogliamo. E scrisse: “Quando un giorno rifletteremo sul clima fetido dell’Italia 2013, ci renderemo conto pure delle responsabilità di Repubblica e del suo direttore”. Aggiungeva: “E Repubblica non è il solo quotidiano ad aver imboccato questa strada rischiosa. Anche altri giornali si sono trasformati in pulpiti dove predicatori incendiari lanciano anatemi, scomuniche e condanne che non cambiano mai e si ripetono immutati ogni mattina. L’insulto rabbioso rischia di diventare il mezzo d’espressione più frequente della sinistra in questo 2013”. Dieci anni dopo apprezziamo la capacità di Pansa di leggere in anticipo certe degenerazione della politica e del sistema editoriale.

“Così hanno aizzato i lettori rossi”

Ma concludeva che questa tattica sarebbe stata una strategia perdente: “Hanno fallito – scriveva riferendosi al lessico della stampa – nell’intento di guidare dall’esterno la sinistra. Poiché quest’ area politica si è frammentata in tante parrocchie che non obbediscono a nessun giornale-partito”. Lo scriveva da uomo di sinistra e non ha mai rinnegato di esserlo.  “In compenso si sono rivelati abili nel cimentarsi in un’altra missione. È quella di aizzare i loro lettori rossi, arroventarne gli umori; armarli di un linguaggio fanatizzato. Che neppure la vecchia gestione di “Barbapapà” Scalfari aveva eretto a sistema”.

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