Chi si somiglia, si piglia. Calenda è la versione “pariolina” dell’alleato Di Maio. Ecco perché

2 Ago 2022 17:47 - di Lando Chiarini
Calenda

L’accordo stipulato tra Pd e Azione o, come impone lo zeitgeist, tra Letta e Calenda dovrebbe – come effetto collaterale – indurre il secondo a cessare immediatamente ogni ostilità contro Luigi Di Maio. Non solo perché da oggi ufficialmente alleati nella crociata contro «le destre», ma soprattutto perché sono ora due aspetti della medesima sporcizia politica: quella che nasce e pasce intorno a un determinato obiettivo, salvo poi disattenderlo in nome di una sopravvenienza che tale non è, ma che per tale viene spacciata al solo scopo di giustificare il proprio tradimento. Non è come assumere un impegno e poi mancarlo («chi è senza peccato…»), ma qualcosa di più e di peggio: è comportarsi come l’avversario che hai attaccato e offeso per quello stesso comportamento.

Voltafaccia incredibile

In materia Di Maio è a tal punto un habitué da averci scritto un ponderoso libro a base di scuse, pentimenti e contrizioni. Calenda invece no. Lui è un novizio del voltafaccia, quantunque il suo sia di intensità tale da far sbiadire in un colpo solo l’intera compilation di Giggino. E sì, perché tutto sommato questi inveiva contro il doppio mandato mentre ora si candida per la terza volta, tuonava contro i voltagabbana e ha cambiato casacca, voleva la politica svelata in diretta streaming e si è chiuso in una riunione carbonara con Tabacci. Ma alla fine, avrebbe detto Totò, sono quisquilie, pinzillacchere.

Calenda miles gloriosus 

Ben più alta l’ambizione di Calenda, che non faceva mistero di voler addirittura scassare il «finto bipolarismo» infilandosi a mo’ di cuneo tra i «finti schieramenti» e che ora batte mestamente in ritirata come un qualsiasi miles gloriosus facendosi schermo con l’attuale legge elettorale. Ma è la stessa che c’era ieri, e pure l’altro ieri, e pure tre giorni fa. E che non gli impediva di sputare sentenze contro destra e sinistra nel nome di un super-strombazzato terzo polo, malinconicamente riposto nel cassetto dei sogni proibiti in ossequio alla sopraggiunta necessità di battere Giorgia Meloni. Ricordiamo male o era sempre Calenda a sbuffare come un vecchio treno in salita contro le «alleanze contro» (scusate il bisticcio di parole)? E se così, perché ora fa sua l’emergenza-Orbàn, manco il premier ungherese fosse Attila sul Mincio?  Semplice: per immoralità politica. Avete letto bene. In politica l’immoralità è questa e non altra: prendere in giro.

Liberali con Fratoianni e Bonelli?

Di Maio è un caso di pornografia politica e non di trasformismo perché s’impancava a giudice dei salta-fossi. Fino a quando non lo ha saltato lui, il fosso. Idem per Calenda che, eletto a Strasburgo con i voti del Pd, non ha in fondo problemi a tornare da Letta. Ma lui ha fatto da pifferaio magico per molti del centrodestra, i tanti insoddisfatti, a torto o a ragione, dello scarso tasso di liberalismo all’interno di quella coalizione. Li ha sedotti con la promessa di un approdo in compagnia degli epigoni di Croce, Einaudi e Malagodi e ora li consegna a un comunista come Fratoianni e a un’ecologista apocalittico di nome Bonelli. Meglio loro due con Di Maio che la Meloni in compagnia di Berlusconi e Salvini? De gustibus… In compenso, Calenda smettesse l’arietta da primo della classe: gli si attaglia molto meglio il raglio dell’ultimo.        

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