Letta sotto choc, pronto a tutto pur di non votare: cinque giorni in ginocchio da Draghi…

15 Lug 2022 8:49 - di Elsa Corsini

Vuole andarsene. E non sembra una scelta precipitosa dopo lo schiaffo grillino sulla fiducia. Mario Draghi ha tutta l’intenzione di lasciare Palazzo Chigi per sempre. “È venuto meno il patto di fiducia alla base dell’azione di governo”, pronuncia solenne. Per il Pd è uno choc, lo spettro delle elezioni si avvicina minaccioso. Come un buon padre di famiglia Mattarella invita il premier dimissionario a ripensarci. E a tornare in Parlamento “per rendere comunicazioni”. La crisi di governo si parlamentarizza dopo la sfiducia dei pentastellati guidati dal traballante Conte.

Il Pd sotto choc: 5 giorni per convincere Letta a restare

Entro mercoledì, il giorno della verità, Letta dovrà convincere l’ex governatore della Bce a restare. Costi quel che costi, a qualsiasi condizione. Ed è già al lavoro per riportare dentro il M5S. Non a caso ha evitato di attaccare frontalmente il capo dei 5Stelle. Usando toni morbidi per riportare le pecorelle smarrite all’ovile. La maggioranza numerica ancora esiste ma il collante alla base della coalizione extralarge del governo di ‘unità nazionale’ si è sfarinato. Se al Pd, ma anche a Renzi e Di Maio, non riesce il miracolo di riattaccare i cocci. dietro l’angolo ci sono le elezioni. Con Fratelli d’Italia che procede a vele spiegate con i sondaggi in poppa da almeno un anno. Per questo Letta supplica fin da subito a Draghi di restare.

I tentativi di D’Incà di evitare la fiducia

Nelle ore febbricitanti che precedono la crisi ufficiale il Nazareno le prova tutte per evitare il peggio. Federico D’Incà, uscito sconfitto dall’assemblea di mercoledì notte che decide l’uscita dall’aula sul decreto Aiuti, lavora sodo tutta la mattina per evitare il voto di fiducia. L’approvazione del dl votando ogni singolo articolo permetterebbe ai 5Stelle 5S di non doversi confrontare con il termovalorizzatore voluto da Gualtieri alle porte di Roma. Pomo della discordia. Ma Draghi è irremovibile, la fiducia risponde al ministro per i Rapporti con il Parlamento, è l’unica via percorribile.

Invano la capogruppo Mariolina Castellone prova a separare la fiducia all’ex superMario dal provvedimento sugli aiuti a famiglie e imprese. Che contiene il via libero all’inceneritore sul quale il Pd e il governo non recedono. “Non votiamo il provvedimento ma il discorso esula dalla fiducia al governo”. Ma la crisi di governo diventa sempre più realtà di ora in ora. “Fossi in Draghi farei una cesura seria e farei un Draghi bis. Alle sue condizioni, come vuole lui”, dice Renzi parlottando con i cronisti. Ecco la formula prima Repubblica del democristiano Matteo (non Salvini). Tutto pur di non dare la parola agli elettori. Un rimpasto, politico, tecnico, a sorteggio decida lui.

I cinque giorni più lunghi del Nazareno

Mal di pancia ovunque. Loredana De Petris (Leu) non partecipa al voto, se l’ambiente chiama la sinistra ecologista risponde. Ma Draghi si avvia da Mattarella prima ancora dell’esito del voto. Che di lì a poco sentenzierà il capolinea del governo con i 5Stelle (172 sì, 39 no, nessun astenuto, 61 grillini assenti). Draghi “riflette”. Adesso scattano i cinque giorni più lunghi per il Nazareno. Che dovrà brigare per cucire intorno al premier una maggioranza rabberciata. Ma il capo del governo dimissionario difficilmente si farà cucinare a fuoco lento.

Orlando supplica il premier a ripensarci

Il partito di Conte ha fatto la frittata. In aula parla soltanto Letta per voce di Andrea Orlando che invoca un “ripensamento” ed evitare salti nel buio. Ma Draghi torna al Quirinale per ufficializzare le dimissioni anticipate. Convoca i ministri e poi le comunica ai presidenti delle Camere. Mattarella congela tutto e rinvia il premier in Parlamento. Mercoledì la crisi si sposta alle Camere. Nel M5S nessuno parla. Lega e Forza Italia sperano di tenere botta fino a scadenza naturale mentre Giorgia Meloni avverte: “Non fate scherzi. Questa esperienza di governo è finita. Si vada alle urne”. Draghi può ancora convincersi? Sì, forse. A condizione che glielo chiedano tutti i partiti che componevano la sua maggioranza. E che la ripartenza avvenga su basi chiare e convinte. Il primo a bussare alla porta del premier è il Pd. Pronto a genuflettersi per proseguire.

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