Il governo è in coma profondo, Draghi è in crisi nera e neppure Letta si sente tanto bene

12 Lug 2022 11:49 - di Valerio Falerni
Letta

Se il premier Mario Draghi è politicamente ferito, neppure Enrico Letta si sente tanto bene. Già, dev’essere tutt’altro che gratificante tacciare un giorno sì e l’altro pure di irresponsabilità Matteo Salvini, salvo accorgersi che l’infingardo, il biforcuto, l’incosciente – cioè Giuseppe Conte – sta nel tuo stesso campo largo. “Poveretto, come soffre!“, diceva lo slogan di un famoso callifugo. Il problema è che il callo che angoscia Letta è difficile da rimuovere e anche da levigare. Come ha scritto Marco Travaglio nel suo editoriale di giornata, ogni ritorsione minacciata dal Pd all’indirizzo del M5S è destinata a produrre lo stesso panico di una pistola caricata ad acqua.

Lo scossone di Conte agita il campo largo 

È così: se Letta minaccia di scaricare Conte, nei collegi uninominali sarà costretto ad accontentarsi di Luigi Di Maio, cioè del nulla elettorale. Se virasse sul proporzionale (eventualità pressoché impossibile dal momento che il centrodestra non è così sprovveduto da suicidarsi a pochi mesi dalle elezioni), Conte gli manderebbe un vassoio di dolci in segno di ringraziamento. Che diventerebbero addirittura due se il Pd incentivasse l’esodo di parlamentari dal M5S verso i gruppi di Di Maio. In questo caso, infatti, Conte si libererebbe solo di bocche da sfamare. Morale: non c’è trippa per gatti. E neppure per Letta, costretto a rivedere da cima a fondo la sua strategia.

Letta costretto a rivedere la strategia

E sì, perché la prima vittima della posizione di Conte (sempre che questi la mantenga fino in fondo) è la fantomatica “agenda Draghi“, di cui il Pd ambisce ad essere perno così da attrarre i cespugli che si agitano al centro. Perché delle due l’una: o Letta fa l’ultrà del premier o fa l’alleato di Conte. Le due parti nella stessa commedia sono incompatibili. Certo, il segretario dem tenterà di trovare un nuovo equilibrio, diluendo il proprio tifo per Draghi e facendo abbassare le pretese all’alleato Giuseppi. Ma in questo caso esporrebbe se stesso e il Pd all’accusa di subalternità ai 5Stelle, già larvatamente lanciata a più riprese tanto da Carlo Calenda quanto da Matteo Renzi. Insomma, più che un campo largo sotto i piedi, Letta si è ritrovato una coperta corta tra le mani. Peggio di lui non sta nessuno. Davvero.

Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *