Il centrodestra contro Toti “core ‘ngrato”. L’ironia di Mulè: «Vive di livore, è un Dibba sovrappeso»
Nel centrodestra lo trattano ormai da core ‘ngrato, anzi come il più ingrato dei cuori azzurri. Già consigliere politico di Silvio Berlusconi e ora governatore della Liguria nonché leader di Italia al Centro, Giovanni Toti però non ci sta a lasciarsi rosolare sulla graticola del tradimento. E ribatte piccato alle accuse di chi, come il segretario ligure della Lega, Edoardo Rixi, gli imputa l’appello pro-Draghi il giorno della mancata fiducia al premier. «La foga di andare al voto anticipato è sconsiderata – svela al Secolo XIX -. Dicono che sarei stato poco leale? Chi mi accusa di slealtà è stato vice del ministro Toninelli». Altrettanto pepata è però la controreplica di Rixi: «Il presidente della Regione ha fatto una scelta di campo. Ha dimostrato che Italia al Centro a Roma non conta nulla, pensasse alla Liguria».
Scontro Toti – Rixi
Uno a uno e palla al centro? Macché. A dar manforte al leghista scende in campo anche il sottosegretario forzista alla Difesa Giorgio Mulè. Lo fa con una dichiarazione su Twitter destinata a lasciare il segno: «Toti – ironizza -? Sembra un Di Battista un po’ sovrappeso». Non pago, incalza: «Il suo guaio è che, poverino, vive da tempo di livore. Non avendo argomenti dispensa rancore a piene mani nei confronti di chiunque. Si prova solo molta pena e nulla più». Ma in Forza Italia i motivi per fare sfoggio di ironia non sono molti.
Anche l’on. Caon lascia Forza Italia
Alle defezioni di Brunetta, Gelmini e Cangini, oltre che di Toti si è aggiunta oggi quella del deputato Roberto Caon. «Ho sempre creduto e portato avanti in Parlamento – scrive in una nota – i valori liberali della democrazia, garantita anche dal Patto Atlantico, del libero mercato e dei diritti del singolo individuo. Oggi – prosegue – Forza Italia non rappresenta più questi ideali di libertà e si è ridotta a costola del più becero populismo illiberale, razzista e qualunquista». Scontata la conclusione: «La decisione di non votare la fiducia alla personalità più prestigiosa che l’Italia potesse vantare a livello internazionale come quella di Mario Draghi è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso».