Fisco, privacy e accordi segreti con gli editori: Google News compie vent’anni tra luci e ombre
Nel saggio “101 cose che abbiamo perso per colpa di internet”, Pamela Paul, editorialista del New York Times cita anche i “giornali cartacei”: lo sanno bene i lettori del Secolo d’Italia, che dal 2012 ci leggono (in numero crescente) solo in versione digitale: il saggio arriva in libreria in concomitanza con le “celebrazioni” per i vent’anni di Google News, la piattaforma che ha rivoluzionato la fruizione delle notizie in Rete.
In occasione del ventennale, Prima Comunicazione ha dedicato un caustico articolo dal titolo “Google news, no news”. Infatti, oltre al comunicato stampa internazionale diramato dal colosso tecnologico, è pressoché impossibile ottenere ulteriori notizie. La prassi del gigante Usa è quella di non fornire molti dettagli sulle sue strategie. Chi vuole avere qualche dato in più si scontra contro un vero e proprio muro di gomma. Anche per questo, l’articolo di Prima on line chiosa con un tranciante commento: “Vista la totale indisponibilità di Google a fare approfondimenti, rispondendo a domande giornalistiche, abbiamo deciso di non pubblicare una riga sulle celebrazioni di Google News. Di cui presto, con la nuova legge sul diritto d’autore che sta per diventare operativa, avremo molto da scrivere”.
Google News Showcase: un paio di cose che non tornano
E, proprio sulla nuova legge sul diritto d’autore e sulla vetrina più recente di Big Mountain, la celebratissima Google News Showcase, si stanno appuntando le attenzioni di molti osservatori indipendenti.
Il prodotto era stato presentato nell’ottobre 2020 da Sundar Pichai, amministratore delegato di Google e Alphabet come “una svolta nel rapporto tra Google ed editori, pagati per la pubblicazione di contenuti di qualità nell’ecosistema del motore di ricerca”. Showcase prevede un progetto di collaborazione con gli editori per riconoscere loro il pagamento per i contenuti “di qualità” tipo notizie testuali, foto e video usati nell’app mobile e nella sezione News. Per questo progetto, Google ha messo ufficialmente a disposizione degli editori un budget complessivo di un miliardo di dollari.
Si può brindare, dunque? Meglio lasciare lo champagne in frigo. Come ha ricostruito il giornale britannico Press Gazette, “a causa delle rigorose clausole di riservatezza allegate ai contratti di Google con gli editori, si sa pochissimo di come funziona News Showcase”. Detto a grandi linee: o sei dentro al prodotto e quindi hai i tuoi vantaggi economici e di indicizzazione sul web. Oppure rischi di venire gradualmente marginalizzato.
Che cosa sappiamo in merito? Finora, Google ha firmato accordi cash-for-content con centinaia di editori in almeno 15 Paesi: Stati Uniti, Regno Unito, Australia, Francia, Germania, Italia, India, Argentina, Brasile, Canada, Giappone, Cechia, Colombia, Austria e Irlanda.
I nuovi ingressi nella “vetrina”? Siti che sono già partner commerciali di Google
Ogni contratto Showcase è accompagnato da una rigorosa clausola di riservatezza allegata. Gli editori che la violano rischiano di perdere milioni di dollari e di danneggiare i rapporti con la più importante azienda del mondo dei media. Il risultato? “Nessuno sa quanto viene pagato qualcun altro”, afferma un dirigente di un’importante società di media internazionale. Un portavoce di Google ha dichiarato a Press Gazette: “Gli accordi di Google News Showcase sono accordi commerciali privati. Come è prassi con la maggior parte degli accordi commerciali privati, i termini non sono resi pubblici”. La strategia di Google appare quindi quella del “divide et impera”.
Anche sugli accordi con gli editori italiani è nebbia fitta. Da noi, il colosso californiano prima ha siglato un accordo con un gruppo ristretto di una ventina di editori, per poi passare a oltre 70. E tutto questo senza indicare quale fosse stato il criterio di questa seconda selezione. L’unico dato evidente dei nuovi ingressi è che si tratta di testate che già sono partner commerciali di Google. In buona sostanza, Google va a pagare i diritti d’autore solo a chi poi garantisce di restituirli pagando loro la pubblicità.
Lo stop del Garante della Privacy a Google Analytics
È sempre di questi giorni la notizia (ignorata dai più) dello stop da parte del Garante della privacy a un sito web che utilizza Google Analytics senza rispettare le norme del Gdpr. Il sito web che utilizza il servizio Google Analytics senza le garanzie previste dal Regolamento Ue, viola la normativa sulla protezione dei dati perché trasferisce negli Stati Uniti, Paese privo di un adeguato livello di protezione, i dati degli utenti. Il provvedimento è arrivato a conclusione di una complessa istruttoria avviata sulla base di una serie di reclami e in coordinamento con altre autorità privacy europee. Nel dichiarare l’illiceità del trattamento, il Garante ha ribadito inoltre che l’indirizzo IP costituisce un dato personale. Anche nel caso fosse troncato non diverrebbe un dato anonimo, considerata la capacità di Google di arricchirlo con altri dati di cui è in possesso.
Cosa finisce su Google News e cosa sparisce?
In questi giorni, per celebrare il ventennale, è cambiata anche la “vetrina” di Google News. Tra le tante modifiche, «la nuova interfaccia – fa sapere un comunicato – permette inoltre di saperne di più sul risultato e la provenienza delle informazioni, con la possibilità di seguire i consigli degli esperti per prendere decisioni più informate sui siti che vale la pena visitare». Detto in soldoni: è arrivata una drastica selezione delle fonti, che riduce inevitabilmente l’accesso all’edicola virtuale. Con la scusa di eliminare le fake news, si rischia di scivolare facilmente nella censura.
Un esempio su tutti? La recente inchiesta di Italia Oggi, che fa il punto sull’evasione fiscale dei colossi Usa in Italia. «Google – ha riportato nei giorni scorsi il quotidiano economico – ha chiuso un contenzioso tributario per imposte non pagate tra il 2009 e il 2013 per 306 milioni di euro. L’intesa è stata siglata dopo un anno di trattative tra i funzionari dell’Agenzia delle entrate, magistrati della procura di Milano e i legali di Mountain View. Il colosso del web avrebbe evaso 95 milioni di imposte su un imponibile di 800 milioni contabilizzando in Irlanda, Paesi Bassi e isole Bermuda i ricavi realizzati in Italia». Peccato che neppure questa notizia sia in evidenza su Google news.