I radicali italiani contro La Lega: si è defilata, sui referendum è mancato il coinvolgimento popolare

13 Giu 2022 14:41 - di Redazione

Il giorno dopo, il dibattito sui referendum è molto vivace. L’affluenza è stata del 20,9 per cento, la più bassa di sempre per un referendum. E ora finalmente se ne parla. Sarebbe stato meglio dibattere prima, anziché? a cose fatte. Ma questo è ciò che offre la politica. Un coro si è levato sulla necessità di abbattere il quorum. Presa di posizione assunta anche dai radicali italiani.

“Il processo referendario, come storia ci insegna, è difficile e molto tortuoso: la scelta dei quesiti, la formazione del comitato promotore, il deposito in Cassazione, la raccolta delle firme, il giudizio della Corte Costituzionale, gli spazi televisivi e infine, solo infine, il quorum da superare”. Così in una nota Massimiliano Iervolino, Giulia Crivellini e Igor Boni, segretario, tesoriera e presidente di Radicali Italiani.

“Ebbene, come denunciamo da decenni, in Italia è quasi impossibile promuovere e vincere referendum: dall’impossibilità di raccogliere 500.000 firme autenticate e certificate, al giudizio politico della Corte Costituzionale (vedi bocciatura dei referendum eutanasia e Cannabis) passando per il boicottaggio del cosiddetto servizio pubblico della Rai e finendo con l’esistenza di un quorum che spazza via quasi ogni consultazione popolare – sottolineano – In tutto questo processo referendario la cosa che siamo riusciti a cambiare è la firma digitale per sottoscrivere i quesiti. Tuttavia restano in piedi gli ostacoli sopraelencati: quasi insormontabili. Quasi, appunto. Infatti in questo caso i promotori ci hanno messo del loro, come spiega lucidamente questa mattina Giandomenico Caiazza, presidente dell’Unione Camere Penali italiane: questa campagna è stata organizzata in modo estemporaneo e improvvisato. A partire dalla formazione del comitato promotore, monopolizzato dalla Lega e dalla ‘scelta’ di non consegnare le firme in Cassazione affidandosi alle deliberazioni delle Regioni. Senza condivisione popolare non si va da nessuna parte. Abbiamo sempre condiviso i quesiti e li abbiamo lealmente sostenuti, non certo il metodo“.

“Si è scelto di affidare la conduzione di questa battaglia a uno dei più grandi partiti che ha sempre fatto della politica securitaria la sua ragion d’essere, a chi ha ripetuto mille volte che occorreva rinchiudere in galera e ‘buttare la chiave’ rivolto a imputati in attesa di giudizio. Per di più la Lega inizialmente ha cavalcato l’iniziativa per poi abbandonarla per motivi che Salvini dovrebbe spiegare. La credibilità di chi propone i referendum conta, eccome se conta. La Giustizia ha bisogno di riforme, i referendum possono essere utilissimi con un Parlamento che non le fa ma non possono essere utilizzati strumentalmente. Per noi la riforma della giustizia e del sistema carcerario sono state, sono e saranno priorità assolute. Priorità che passano dalla separazione delle carriere dei magistrati e da un utilizzo delle misure cautelari e della custodia cautelare che non portino ad avere, come accade, un terzo dei detenuti rinchiusi dietro le sbarre che sono innocenti per la nostra Costituzione. Priorità che passano dalla legalizzazione della Cannabis (1/3 dei detenuti è in carcere per aver violato la legge criminogena sulla droga) e un utilizzo del carcere come extrema ratio e non come discarica sociale”, concludono.

Anche il segretario della Lega Benedetto Della Vedova punta l’indice contro Matteo Salvini: “Noi ci siamo impegnati nella campagna elettorale a favore dei quesiti sulla giustizia, anche se di fatto alla fine il referendum è stato proposto da 9 regioni del centrodestra. Diciamo che Salvini, invece di fare altro, avrebbe fatto bene a impegnarsi maggiormente, visto che – a parte il Partito Radicale – l’attore principale è stata la Lega”.

 

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