50 anni fa l’omicidio Calabresi. Il killer del commissario odiato dalla sinistra è ancora in Francia

17 Mag 2022 9:44 - di Valerio Falerni
Calabresi

Capitasse oggi, la stampa lo inquadrerebbe nel genere dei crimini d’odio. Ma 50 anni fa – tanti ne sono passati dal giorno in cui un commando di Lotta Continua freddava il 34enne commissario Luigi Calabresi – questa definizione non aveva il significato che ha oggi. Anche perché, in quell’Italia degli anni ’70, l’odio era cosa assai diversa dagli sputacchiamenti social dei giorni nostri: non era virtuale, ma reale. E pochi l’hanno sperimentato sulla propria pelle come Calabresi, che addirittura ne è morto nel silenzio inqualificabile delle istituzioni.

Calabresi fu ucciso a Milano

Già, avrebbero potuto assegnargli una scorta, trasferirlo d’ufficio e allontanarlo dalla quella questura di Milano dove tre anni aveva trovato la morte l’anarchico Giuseppe Pinelli, sospettato di essere stato l’esecutore della strage di Piazza Fontana, la prima di quelle avrebbero insanguinato l’Italia nella stagione dei cupi Anni di piombo. Pinelli cadde nel vuoto per schiantarsi sul selciato all’interno della questura: suicidio? Al momento della caduta, Calabresi, che lo stava interrogando, non era in stanza. Fu anche scagionato, ma la sinistra extraparlamentare e i salotti radical chic milanesi non persero tempo a ribattezzarlo “Commissario finestra“. Cominciò così il linciaggio morale di un integerrimo servitore dello Stato.

La vendetta per la morte di Pinelli

Una morte a rate la sua, programmata giorno dopo giorno, attraverso una campagna di stampa culminata in un demolitorio appello sottoscritto da centinaia e centinaia di intellettuali. Di questi qualcuno si è pentito, altri hanno tirato a dimenticare. Ma è impossibile. Indimenticabile è infatti il titolo di Lotta Continua, il giornale che più di altri aveva condotto la macabra danza intorno a Calabresi, all’indomani della sua esecuzione: «Giustizia è fatta». Di quel gruppo – Adriano Sofri e Giorgio Petrostefani, i mandanti, Ovidio Bompressi, il killer, e Leonardo Marino, il pentito – l’unico che non ha ancora pagato è proprio l’uccisore del commissario. È in Francia come altri terroristi rossi coccolati dalla cosiddetta dottrina Mitterrand. Una strampalata teoria fondata sulla pretesa di dare asilo politico a presunti martiri della libertà, in realtà volgari assassini in cerca di una latitanza dorata.

“Compagni che sbagliano”

Bompressi ne gode ancora, ma la pacchia potrebbe presto finire anche per lui. Da un anno, infatti, è in libertà vigilata. Nei prossimi giorni, forse domani, le autorità francesi potrebbero consegnarlo a quelle italiane. C’è da auspicarlo, soprattutto nell’interessa della verità. Ne mancano ancora pezzi importanti. È tempo di ricomporre il puzzle. L’omicidio Calabresi cambiò l’Italia, scaraventandola nella spirale del terrorismo da cui sarebbero poi emerse le Brigate Rosse con la loro tragica e suggestiva missione di completare la Resistenza tradita. Tutta roba che non a caso una comunista del calibro di Rossana Rossanda riconobbe come «l’album di famiglia» della sinistra italiana. E «compagni che sbagliano» furono definiti i militanti che si diedero alla lotta armata. Verità scomode ancor oggi, nonostante sia passato mezzo secolo.

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