Siena, scritte “nere” all’Università. Perché l’autore è un imbecille e non un «pericoloso fascista»

14 Apr 2022 20:38 - di Marzio Dalla Casta
Siena

Premesso che imbrattare di vernice (rossa o nera, non importa) l’ufficio di un’università è un gesto incivile prima ancora che un reato. E che scrivere frasi inneggianti al fascismo e a Mussolini, o di offesa agli omosessuali è più un’ammissione di imbecillità che l’affermazione di un’identità politica. Tutto ciò premesso, è possibile classificare l’episodio verificatosi oggi all’ateneo di Siena per quel che è – l’atto di un sconsiderato da da consegnare al Dipartimento di salute mentale dell’Asl più vicina – e non come una testimonianza politica? Dovrebbe essere semplice da capire, a destra come a sinistra, ma non lo è. Infatti, siamo ormai al punto che episodi “politicamente” normali negli anni ’70 (ah, se solo i muri delle università potessero parlare…) oggi scatenano le reazioni incontrollabili.

Che cosa insegna l’episodio di Siena

Persino da parte di personaggi istituzionali che con grande sprezzo del ridicolo evocano «pagine nere» o parlano di «violenza inaudita» e di «atto intimidatorio». Signori, calma. Soprattutto diamo un senso alle parole. Anzi, un peso, pena lo svilimento fino alla loro totale insignificanza. L’antifascismo, certo. Ma non è vietato professarlo abbinandovi intelligenza e onestà intellettuale. E qui sembra che dell’una e dell’altra ve ne siano sempre meno. Vogliamo dare del «fascista» all’ignoto imbrattatore di Siena? Benissimo, neanche ha fatto nulla per nasconderlo. Ma evitiamo di qualificare il suo deprecabile gesto come «pericoloso per la democrazia» perché non sarebbe né intelligente né intellettualmente onesto, ma solo (forse) politicamente conveniente. Per carità, siamo tutti uomini di mondo e sufficientemente svezzati per capire che nessuno regala niente.

Fascismo e antifascismo sono due caricature

Ma neanche ci sfugge che la sinistra non ha rivali nello spacciare il «Viva il Duce» di Siena per un tentativo di golpe. Il problema è dove si andrà a finire di questo passo. Un tempo, chi da sinistra aveva combattuto il fascismo descriveva il movimento di Mussolini come un nemico di classe: lo strumento – sostenevano – di cui si era servita la borghesia «per fermare l’ascesa delle masse popolari». Vero o falso, non importa: era un giudizio politico calato in un contesto storico. Che cos’è invece, al confronto, l’antifascismo odierno, alla Fiano per intenderci, se non una caricatura, una parodia impastata di ignoranza, malafede e politicamente corretto? Paradossalmente, vi era meno isteria cinquant’anni fa – con i ricordi della guerra e della dittatura ancora vividi e i protagonisti in buona salute –  che oggi, con le opposte passioni in via di spegnimento. Nessuno si meravigli, perciò, se a questo punto l’interrogativo sorga spontaneo: a chi giova riaccenderle?

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