Omicidio Fragalà, confermata la condanna di primo grado: 4 condanne e 2 assoluzioni

28 Mar 2022 18:56 - di Paolo Lami

La corte d’assise d’appello di Palermo, chiamata a decidere in secondo grado, sull’omicidio dell’ex-parlamentare di Alleanza Nazionale e penalista Enzo Fragalà, ferito a morte a bastonate il 23 febbraio 2010 sotto al suo studio legale, a pochi metri dal sorvegliatissimo Tribunale, e poi deceduto in ospedale qualche giorno dopo, il 26 febbraio del 2010, ha confermato la sentenza di primo grado, condannando quattro dei sei imputati accusati del delitto e assolvendone altri due.

Il boss Antonino Abbate, ritenuto l’esecutore materiale dell’omicidio, è stato condannato a 30 anni. Ventiquattro anni sono stato comminati a Francesco Arcuri e 22 a Salvatore Ingrassia.

Quattordici anni, invece, sono stati inflitti al dichiarante Antonino Siragusa a cui i giudici hanno riconosciuto l’attenuante speciale della collaborazione con la giustizia.
Assolti, come in primo grado, Francesco Castronovo a Paolo Cocco.

“È iniziato tutto un venerdì di quaresima di 12 anni fa e si conclude oggi in un lunedì di quaresima con la conferma della sentenza di primo grado – dice Marzia Fragalà, la figlia di Enzo Fragalà. – È stata una via crucis durata 12 anni ma, finalmente, abbiamo avuto giustizia e mio padre potrà riposare in pace. Ringrazio tutti coloro che ci hanno sostenuto, è stata una battaglia dura e lunga ma alla fine la verità ha vinto“.

Enzo Fragalà venne ucciso da Cosa Nostra, in particolare dalla famiglia di Porta Nuova il cui boss era Antonino Abbate, perchè, in più di una occasione avrebbe indotto i suoi clienti a collaborare con gli inquirenti.

Cosi’ s’insigna a fare l’avvocato‘: avrebbe detto Antonino Abbate, uno degli imputati.

Con l’aggressione mortale, inoltre, la mafia avrebbe voluto dare un avvertimento a tutta l’avvocatura.

A indispettire i clan fu, in particolare, un episodio in cui Enzo Fragalà lesse in aula la lettera della moglie di un boss la quale si scusava con il cliente del penalista palermitano per avergli mentito dicendo che il denaro che gli aveva chiesto di investire era frutto di una vincita al gioco quando, invece, si trattava dei proventi illegali della famiglia mafiosa.

Cosa Nostra giudicò gravissimo, secondo il suo metro di giudizio, che era stata resa nota la lettera della donna la quale, di fatto, prendeva le distanze dal marito. Di lì la decisione di punire Enzo Fragalà con un’aggressione violentissima a bastonate.

Le indagini dei carabinieri ricostruirono l’intera vicenda grazie alla testimonianza di sei persone presenti in zona al momento dell’omicidio e identificate attraverso la mappatura delle celle di telefonia mobile.

Inoltre due degli imputati, Salvatore Ingrassia e Antonino Siragusa, vennero ripresi casualmente dalle telecamere di un negozio su via Nicolò Turrisi, prima e dopo il delitto.

Infine ulteriori elementi a supporto arrivarono dalle intercettazioni in corso all’epoca da parte della Catturandi di Palermo che teneva sott’occhio le famiglie mafiose della zona.

In tutto questo non è mai stata trovata l’arma del delitto, un bastone di legno che, secondo alcuni, venne gettato in un cassonetto e, secondo altri, bruciato.

Uno dei due imputati assolti, intercettato, confessò alla moglie che era implicato anche lui nell’omicidio di Enzo Fragalà.

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