Oltre le risposte “tappabuchi”, occorre ripartire dal sovranismo come esigenza strategica
Tra crisi produttiva (confermata dalla caduta del 2,4 per cento del Pil nel primo trimestre), gap energico, aumento dell’inflazione ed emergenze internazionali, dove cercare una risposta organica e complessiva che vada al di là delle tante (troppe) iniziative “tampone”? C’è spazio per scelte di metodo e di valore in grado di rimetterci in sesto e tracciare una rotta? E come declinare la domanda di autosufficienza produttiva abbandonando finalmente la ricorrente retorica sull’importanza di “essere aperti” e globali? Volenti o nolenti si deve guardare al sovranismo. E non tanto come battaglia di principio e “di bandiera”, ma come esigenza strategica, come base per costruire un progetto alternativo all’establishment culturale, politico ed economico. Sono i fatti a parlare.
Sovranismo e difesa del made in Italy
Come prima esigenza c’è il nodo, tuttora non sciolto, del rapporto tra identità nazionale e sviluppo economico globalizzato, tra crescita socialmente compatibile e commercio globale. Sul piano più concreto e diretto l’opzione sovranista è in grado di articolare programmaticamente la difesa del “made in Italy”, ma anche la volontà di porre freni alle “delocalizzazioni” e alle importazioni selvagge da quei Paesi dove a dominare è lo sfruttamento dei lavoratori, con forme di vero e proprio lavoro forzato; di mettere un freno allo strapotere della finanza internazionale per “tornare al reale”, all’economia produttiva, ai territori; di tutelare la Nazione, riperpetuandone la vita, attraverso adeguate politiche demografiche.
La rappresentanza popolare
A livello di rappresentanza popolare il tema della libertà di azione di una data collettività e quello relativo alla sovranità si fondono, rendendo bene evidente la partita in gioco. Al centro la domanda di partecipazione alle decisioni politiche (la democrazia come partecipazione di un popolo al proprio destino …) e l’inversione di tendenza rispetto alle “logiche” tecnocratiche e ai processi di “disintermediazione”, che stanno svuotando il sistema della rappresentanza popolare e la nostra economia.
Quella prassi del ribaltonismo…
Quanta “sovranità popolare” abbiamo visto negli ultimi tempi ? Pensiamo al “ribaltonismo” parlamentare, che sembra essere diventata, di legislatura in legislatura, una prassi consolidata, all’uso spregiudicato dei decreti del presidente del Consiglio, alle limitazioni della libertà individuale, giustificate dall’emergenza Covid, all’abuso dei voti di fiducia, per arrivare infine al governo del Super tecnico, Mario Draghi. In questo contesto può essere salvata la sovranità popolare? Si può parlare ancora di democrazia partecipativa allorquando una maggioranza di cittadini non riesce più a distinguere le rispettive posizioni politiche? Come ricostruire i necessari strumenti di intermediazione politica e sociale?
Le domande a cui risponde il sovranismo
Il sovranismo deve misurarsi soprattutto con queste domande e muoversi di conseguenza, analizzando le trasformazioni in atto e facendo crescere nell’opinione pubblica una consapevolezza nuova rispetto alle ipocrisie dell’attuale Sistema e alla necessità di voltare veramente pagina. In tempi di bassa tensione politico-ideale può sembrare un’ipotesi velleitaria. In realtà solo un richiamo forte può evitare di navigare a vista, misurandosi, giorno per giorno, con le tante emergenze, senza affrontare le più vaste questioni strutturali, senza avere una visione lunga.
La visione della vita
Solo una chiara consapevolezza programmatica è in grado di ridare dignità ad un’area vasta, ma non rappresentata, espressione di una “visione della Vita e del Mondo”, riconoscibile in alcuni, essenziali principi di fondo: famiglia, comunità, Nazione, solidarietà, primato della politica sull’economia, concezione spirituale dell’esistenza, amore verso la propria terra, regole certe per una convivenza civile, meritocrazia.
Paese reale e rappresentanza politica
La prospettiva è tornare finalmente a coniugare Paese reale e rappresentanza politica, società ed istituzioni, per dare forma alla “volontà popolare”, oggi messa ai margini. Per trovare le ragioni di un sovranismo che si fa azione politica, programma potenzialmente di governo. Per ridare voce e speranza al “popolo sovrano”, costruendo ragioni nuove ed autentiche, capaci di trasformare un’aspettativa in forza di cambiamento. Aprendosi alla società civile, all’Italia delle professioni e delle competenze, per immaginare, con esse, un destino condiviso. Su questi crinali il sovranismo ha un grande avvenire e grandi responsabilità, con buona pace per chi strumentalmente lo vorrebbe in crisi, mettendogli la sordina.