Ucraina tra guerra e pace: ecco perché questa volta ci tocca tifare per la Germania

15 Feb 2022 16:33 - di Niccolò Silvestri
Ucraina

«La guerra è cosa troppo seria per lasciarla in mano ai militari». Georges Clemenceau pronunciò questa frase non per svilire greche e graduati, ma per dire che politica e diplomazia sono all’opera anche mentre infuria il  combattimento. Una massima, questa dell’insigne statista francese, che vale ancor di più se riferita alla crisi al confine tra Russia e Ucraina, dove di colpi – per fortuna – ancora non rimbomba l’eco. Tuttavia, la situazione può sfuggire di mano a chi in mano ce l’ha, cioè Russia e Usa. La prima non accetta la contrazione della propria profondità difensiva, la seconda pigia il tasto del diritto dell’Ucraina di scegliersi liberamente i propri alleati, in questo caso la Nato e quindi, in ultima istanza, gli Stati Uniti. Allo stato è difficile immaginare che una delle due possa cedere, il che rende necessaria una mediazione. Potrebbe tentarla l’Europa, se solo esistesse come soggetto sovrano. Ma in questo formato, purtroppo (o per fortuna), non è disponibile.

Berlino potrebbe mediare tra Ucraina e Russia

Più credibile un quartetto con Francia, Germania, Italia e Gran Bretagna. Quest’ultima, tuttavia, è legata a filo triplo a Washington. Non proprio una garanzia di imparzialità per Putin. Neanche sostituirla con la Polonia sarebbe un buon affare, atteso che il Cremlino mal s’acconcerebbe a farsi tracciare la strada da un ex-satellite. Il quartetto potrebbe dunque ridursi a terzetto. Ma il fatto che Draghi si sia defilato a favore di Di Maio (oggi e domani a Kiev e dopodomani a Mosca) già fa capire che l’Italia, detto con tutto il rispetto per il nostro ministro degli Esteri, non fa sul serio. Restano Francia e Germania, le finte amiche, che finirebbero per pestarsi i piedi vicendevolmente. In ogni caso, meglio la seconda che la prima. In tal senso, la Germania è già infatti un passo avanti. Prova ne siano le parole pronunciate ieri dal cancelliere Olaf Scholz (oggi a Mosca) nel corso della conferenza stampa tenuta ieri con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Eccole: «L’ingresso di Kiev nella Nato non è in agenda».

Il cancelliere Scholz ieri a Kiev, oggi a Mosca

Musica per le orecchie di Putin, che di Scholz ha apprezzato anche il ringraziamento a Zelensky quando ne ha in qualche modo annunciato la volontà di «completare il processo avviato a Minsk». Il riferimento è agli impegni assunti dall’Ucraina, ma mai pienamente rispettati, negli accordi siglati nel 2015 nella capitale della Bielorussia. Ripartire da quella piattaforma non innescherebbe la de-escalation, ma potrebbe servire ad allentare la tensione. Agli occhi della Russia, oltre agli strumenti di negoziazione (l’impegno di Zelensky a riattivare il protocollo di Minsk), la Germania ha anche un interesse vitale ad impedire l’escalation militare. Un interesse in prima battuta tutto nazionale, ma subito dopo tutto continentale: il gasdotto Nord Stream 2 che porterà via mare il metano direttamente dal Baltico alla Germania e da lì all’Europa.

La centralità nella crisi della questione energetica

Gli Stati Uniti di Donald Trump avversarono  ferocemente il progetto. Lo consideravano (giustamente) una formidabile leva di pressione consegnata al Cremlino rispetto alle nazioni poste al suo confine occidentale, soprattutto Ucraina e Polonia. L’avvento di Biden alla Casa Bianca ha modificato le cose: via libera al completamento del gasdotto, in cambio dell’impegno della Germania ad applicare sanzioni alla Russia qualora negasse il gas all’Ucraina. L’impegno è oneroso. Le sanzioni, infatti, potrebbero arrivare addirittura  limitare le importazioni di gas in Europa,  In più, Berlino dovrà costituire un fondo da un miliardo di dollari per facilitare la transizione dell’Ucraina verso le fonti energetiche rinnovabili. Insomma, nessuno più della Germania ha interesse a far rientrare la crisi. E questa volta non si può non tifare per i suoi colori.

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