Ricolfi: «Dopo la catastrofe quirinalizia, resta una sola leadership politica: quella di Meloni»

2 Feb 2022 8:43 - di Viola Longo
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Il ruolo dei leader e il rapporto con l’elettorato, la tenuta del parlamentarismo, gli assetti futuri. Luca Ricolfi fa un’analisi a tutto tondo di quel che resta sul campo dopo la “catastrofe quirinalizia”, dalla quale tutti i giocatori sono usciti indeboliti, pressoché annientati nella loro credibilità. Tutti tranne due figure: Mario Draghi e Giorgia Meloni. «Ormai nel sistema politico italiano sopravvivono solo due vere leadership: quella tecnocratica di Mario Draghi e quella idealistica di Giorgia Meloni», ha osservato il sociologo.

Ricolfi: «Salvini? Ingenuo, vanitoso, incapace»

Ricolfi, intervistato dal Giornale, ne ha per tutti: Salvini? Un «ingenuo, vanitoso e incapace», che inanella la «seconda Caporetto, dopo quella del Papeete»; i «vari Letta- Conte-Salvini-Berlusconi»? Già prima della «castrofe quirinalizia» non erano in grado «di esercitare una vera leadership». Un quadro in cui, appunto, solo Draghi e Meloni, su terreni diversi, fanno salva la loro forza, sebbene di Draghi Ricolfi ammetta di non saper dire con nettezza come ne esca rispetto alla capacità di dettare la linea nel governo.

I dubbi su «San Draghi» e «le riforme coraggiose»

«Alle volte penso: “san Draghi” finalmente potrà fare le riforme di cui abbiamo bisogno, infischiandosene dei calcoli elettorali dei partiti che sostengono il suo governo. Altre volte, invece – ha chiarito il sociologo – mi capita di pensare: così come ha finto di essere indisponibile alla rielezione, Mattarella potrebbe star fingendo di voler durare 7 anni, mentre in realtà è pronto a farsi da parte, e aspetta soltanto che maturino le condizioni per cedere il posto a Mario Draghi. In questo secondo caso, addio riforme coraggiose: l’esigenza di conservare l’appoggio dei partiti impedirebbe a Draghi di fare ciò per cui in tanti lo hanno inchiodato a Palazzo Chigi».

«Il Parlamento s’è auto-esautorato per gli stipendi»

A uscirne malissimo, però, per Ricolfi non sono solo le singole personalità, ma l’intero Parlamento, che «si è auto-esautorato per salvare stipendi, pensioni, piccoli privilegi e narcisismi. Il duopolio Draghi-Mattarella non è frutto di un colpo di Stato, ma del suicidio della politica. Una sorta di moderna e spensierata “allegria di naufragi”, per dirla con la poesia di Ungaretti». Attenzione, però, il distacco che ormai si avverte sempre più forte tra cittadini e “Palazzo” non riguarda tanto il sistema in sé quanto le personalità che lo incarnano. «La mia impressione – ha chiarito Ricolfi – è che la gente non ce l’abbia con il parlamentarismo, ma con questi parlamentari, e con i mediocri cacicchi che tentano (invano) di guidarli».

Che ne sarà del bipolarismo…

Ricolfi ha spiegato di non saper preconizzare se il sistema bipolare reggerà. «Credo che molto dipenderà dal centro-destra, e ancora di più dalla legge elettorale. Se Forza Italia e i centristi, magari con l’assenso più o meno tacito di Salvini, riusciranno a imporre il proporzionale, andiamo verso un regime consociativo, con partiti sempre-verdi permanentemente al governo, e partiti ruote di scorta, come lo erano Pli-Pri-Psdi nella prima Repubblica. In concreto: Pd e Forza Italia sempre al governo, Lega e Cinque Stelle un po’ dentro e un po’ fuori, FdI e “frange estremiste” eternamente out».

I rischi di un ritorno al proporzionale

Si tratterebbe di «un bel paradosso: se FdI dovesse crescere ancora un po’, potremmo trovarci con un sistema politico in cui il partito più votato non ha mai accesso al governo. L’altro scenario è quello che il centro-destra si ricompatti, o meglio si ristrutturi, e il sistema resti bipolare. Ma questa eventualità non è probabile, perché richiede il verificarsi di almeno tre condizioni: primo, che non si torni al proporzionale; secondo, che Salvini ceda lo scettro a Giorgia Meloni; terzo, che Giorgia Meloni abbia il coraggio di riposizionare FdI, e per questa via riesca a rifondare il centro-destra». Quanto a Forza Italia, invece, Ricolfi non ha molti dubbi: si sta «avviando a diventare quel che era il Partito repubblicano di La Malfa, ovvero la costola moderata e ragionevole del centro-sinistra, un progetto che richiederà il ritorno al proporzionale».

Il presidenzialismo non è un rischio, «il totalitarismo soft sì»

E il presidenzialismo? «Abbiamo anticorpi sufficienti?», è stata la domanda del cronista, che ha suscitato una ferma reazione di Ricolfi. «Ma vogliamo scherzare? Siamo ancora a paventare il risorgere del fascismo? Siamo ancora prigionieri dei fantasmi del passato? Davvero temiamo le “tentazioni autoritarie” di qualche politico ambizioso? In una società come quella italiana, mansueta e consumista, il rischio non è l’uomo solo al comando, ma – ha avvertito il sociologo – il totalitarismo soft dello stato di emergenza permanente».

La donna al Colle? «Un capolavoro di patriarcato»

Infine, una notazione su come è finita “l’opzione donna”. Per Ricolfi, autore con Paola Mastrocola del recente Manifesto del libero pensiero, contro la dittatura del politicamente corretto, «è stato un capolavoro del patriarcato: straparlare per giorni di “donne in gamba” (Moratti, Casellati, Cartabia, Belloni, Severino…), bruciarne allegramente due (Casellati e Belloni), il tutto con il risultato di concedere un potere senza precedenti (14 anni di presidenza della Repubblica) al maschio di fiducia. Chapeau! Se fossi – ha concluso Ricolfi – una donna darei di matto, anzi di matta».

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