Per l’Italia prigioniera della crisi non può bastare l’appello alla “dignità” di Mattarella: ecco perché

7 Feb 2022 12:06 - di Mario Bozzi Sentieri
Mattarella

I “cahiers de doléance” (quaderni delle lamentele) erano – nella Francia prerivoluzionaria – i registri nei quali le diverse assemblee annotavano le critiche e le lamentele della popolazione. Diciamo che erano la “fotografia” degli umori del Paese ed insieme un richiamo al potere dei vari strati della società francese. A spazzarli via arrivò la Rivoluzione borghese dell’89 e la costruzione del sistema rappresentativo a base parlamentare, nel quale la “mediazione politica” era sostanzialmente delegata agli eletti.

Discorso di Mattarella: se l’appello alla dignità non basta

Fatte le dovute differenze è ciò che accade o dovrebbe accadere ancora oggi. A maggiore ragione in un sistema costituzionale qual è quello italiano, di orientamento “programmatico”, nel quale sono puntigliosamente elencati i principi che dovrebbero informare il nostro Paese: pari dignità sociale. Uguaglianza dei sessi. Diritto al lavoro. Tutela della maternità, diritto allo studio, diritti per la donna lavoratrice, anche in funzione dell’adempimento della sua funzione familiare. Assicurazione dei mezzi adeguati alle esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia. Rieducazione del condannato.

Italia a due, tre velocità, in crisi su tutto: la responsabilità è della “cattiva politica”

Stupisce, allora, malgrado il profluvio  di consensi e di applausi a scena aperta, che il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel suo discorso d’insediamento, si sia sentito in dovere di elencare questi principi con un’enfasi inusuale. Quasi che essi non appartengano già al nostro orizzonte istituzionale e sociale. Al punto da spingerci a dire che più  che un  “cahier” sulla dignità, dai tratti moralistici, il suo vada letto come un atto di accusa contro chi, per decenni, ha avuto responsabilità di governo. Ivi compreso il partito (la Dc) di cui Mattarella è stato un esponente. Ed insieme – inutile nascondercelo – la fotografia di un’Italia che, tra Prima e Seconda Repubblica, non è riuscita ad affrontare le sue crisi strutturali. Che spesso le ha aggravate, anche in ragione della cesura, sempre più marcata, tra Paese reale e Paese legale. Tra i cittadini ed i suoi rappresentanti formali.

Povertà, disoccupazione, morti sul lavoro e carceri sovraffollate: la foto impietosa del Belpaese

A dircelo, ben oltre gli appelli alla “dignità”,  sono i dati allarmanti relativi alle diseguaglianze evocate da Mattarella, quale «freno per ogni prospettiva reale di crescita»: con poco più di due milioni di famiglie (7,7% del totale da 6,4% del 2019) e oltre 5,6 milioni di individui (9,4% da 7,7%) in condizione di indigenza assoluta (dati 2020). I 1.404 lavoratori morti, nel 2021, per infortuni sul lavoro. Il  tasso di occupazione femminile  al 50,5% che ci pone al penultimo posto in Europa. La disoccupazione giovanile (meno 7 punti rispetto al 2007). L’indice di saturazione delle carceri italiane salito a 120 (con un sovraffollamento reale quasi a 130: il peggiore in Europa).

Non solo Mattarella, i dati della crisi endemica sono un atto d’accusa contro chi ha governato

E ancora. I tempi della giustizia (con una durata dei processi di 2.656 giorni – 527 giorni per il primo grado, 863 giorni per il secondo grado e 1.266 giorni per il terzo grado – che ci vede  in fondo alla classifica europea). E poi ancora il gap demografico. I ritardi della nostra Scuola. Il mancato collegamento tra formazione e mondo del lavoro. La lentezza della nostra burocrazia. È questa l’Italia pronta ad imboccare la strada della “modernizzazione”, della digitalizzazione, del 4.0, delle nuove tecnologie? O non rischia piuttosto – viste le esperienze del passato – di essere il Paese a due, tre velocità, incapace di gestire la transizione. Di costruire un nuovo modello d’integrazione sociale. E di rispondere alle esigenze reali della nostra gente?

Oltre il discorso di Mattarella, il Paese ha bisogno non di appelli e auspici, ma di sincere assunzioni di responsabilità

Di appelli e di auspici sono piene le cronache. Di condivisione a buon mercato sono zeppi i verbali parlamentari. Ma al di là di questo purtroppo, nel corso dei decenni, non si è andati. I risultati sono drammaticamente all’ordine del Paese. Ricordarsene – sull’onda dell’emozione – può forse servire a tranquillizzare le coscienze di taluni, ma non basta, laddove c’è bisogno di sincere assunzioni di responsabilità, di molte autocritiche, di una reale volontà riformatrice. Soprattutto di una Politica che ritrovi le ragioni profonde della sua ragione d’essere al servizio del Paese. Merce rara in un ambiente in cui i “cambi di casacca” sono all’ordine del giorno ed i piccoli interessi di bottega la bussola per orientarsi. Senza dignità. Con buona pace del neo rieletto Presidente della Repubblica e dei suoi ipocriti adulatori.

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