Esodo, pagine dimenticate: Baldoni ricorda gli orrori del Campo profughi di Cinecittà
Nel capitolo delle foibe e del dramma dell’esodo giuliano si dimenticano spesso alcune pagine strappate al ricordo di quel momento atroce della storia italiana. Ci tiene a ricordarle lo storico della Destra Adalberto Baldoni. “Il dramma giuliano è stato da me raccontato e documentato nel saggio “Pagine strappate. Le verità nascoste nei testi di storia”. È uscito nel 2012, edito dai libri del Borghese.
Una pagina dimenticata: il Campo profughi di Cinecittà
Si tratta di un capitolo riguardante l'”accoglienza” che subirono i nostri connazionali strappati alle loro terre . “In nessun libro ho letto, ad esempio, la vicenda del Campo profughi di Cinecittà, un vero e proprio inferno- racconta Baldoni-. In questo luogo erano stati accolti gli italiani provenienti dalla Venezia Giulia, dell’Istria e dalla Dalmazia. Una vicenda drammatica che ho scoperto facendo ricerche all’ Archivio centrale dello Stato. Con i documenti e le testimonianze si rende giustizia ai martiri e ai perseguitati di quelle terre”. Tra tante chiacchiere che durano lo spazio di un giorno, il 10 febbraio, l’invito dello storico è quello di approfondire, ricercare, documentare pagine dimenticate.
“All’inizio (siamo nel 1944, dopo l’ingresso degli Alleati a Roma) il Campo profughi -uno dei più ampi nel territorio nazionale- era stato requisito dall’ “Allied Control Commission” per ospitare migliaia di rifugiati, sfollati e rimpatriati dai territori coloniali (Africa Orientale Italiana). Il Campo era stato suddiviso in due settori, uno, quello italiano (quasi tutti senzatetto a causa dei bombardamenti), amministrato dal ministero dell’Interno; l’altro, quello internazionale gestito dalle truppe Alleate”. Le condizioni di vita erano disumane e promiscue, scrive Baldoni.
L’inferno del Campo profughi di Cinecittà
“L’acqua era raccolta in contenitori collettivi, si cucinava all’aperto su stufe a carbone e le razioni erano più scarse rispetto al vitto distribuito nella sezione Alleata. Ma le condizioni di vita erano estremamente difficili in entrambe le sezioni del campo dove regnavano confusione, caos e inefficienza, dove accadevano risse, furti e persino suicidi, dove specialmente i soggetti più deboli, in particolare i bambini, contraevano tubercolosi e tifo, dato che l’assistenza sanitaria era inadeguata”. Nel gennaio del 1945, un’inchiesta di Paola Masino, una delle più apprezzate scrittrici degli anni ’40 e ’50, mise a nudo le precarietà del Campo, ricorda Baldoni nel suo libro:
“Dannati e dannate della storia”
“ Mancano pagliericci, coperte, pentole, medicinali (…) Stanno, questi dannati e queste dannate, nei capannoni di ripresa, raggruppati per famiglie in esigui box scoperti, delimitati da siepi di canne ad altezza d’uomo o poco più. In terra il materasso, una tavola costruita con mezzi di fortuna, qualche abito appeso a un chiodo, una corda tesa con pochi stracci ad asciugare e tutt’intorno i rumori altrui, tosse, pianto, ridere, parlare, e gli altri odori, e l’altrui sospetto, l’altrui curiosità, l’altrui sudiciume…”. (Paola Masino, “ Valle di Giosafat”, in “Crimen: documentario settimanale di criminologia, anno I, n. 1, 26 gennaio 1945, pp.14-15).
Il progetto di un domentario sul Campo profughi di Cinecittà fu rifiutato
Verso la fine del 1947, la parte italiana, contava più di 3 mila unità, compresi centinaia di minorenni e di bambini. E’ incredibile – avevano osservato il regista Bertozzi e la soggettista Steimatsky due – che di un Campo di simili dimensione non esistesse alcuna reale testimonianza. Il cinegiornale dell’epoca, da parte sua, aveva fornito un paio di minuti di pellicola. “A parere dei due soggettisti -scrive Baldoni – uno dei principali motivi del disinteresse dei registi italiani, era dovuto al fatto che Cinecittà era stata creata da Mussolini; e che, al suo interno, erano ancora visibili e ben riconoscibili le effige del passato regime fascista”.
De Sica volle girare i suoi film altrove
In un saggio di Noa Steimatsky si legge che: “alcuni registi neorealisti come Vittorio De Sica, pur a conoscenza dal Campo”, avrebbero preferito girare i loro film altrove, “perché il nuovo cinema italiano non fosse macchiato dalle connotazioni fasciste degli studi cinematografici”. Ma la perla più clamorosa è inserita nel passaggio che parla dei profughi e degli sfollati italiani: “Il Campo italiano ospita profughi delle vecchie colonie, come Libia e Dalmazia, rifugiati provenienti da varie province del sud….” . La Dalmazia viene definita una vecchia colonia. “Ogni commento è superfluo- conclude Baldoni- . Il progetto di un documentario sul Campo profughi di Cinecittà di Bertozzi e Noa Steimatsky non potè essere realizzato per mancanza di fondi.