Varese, «Perché il bambino era col padre?»: polemiche sulla legge che affida i figli ai genitori violenti

3 Gen 2022 10:10 - di Natalia Delfino
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Com’è possibile che un uomo ai domiciliari per un accoltellamento, con un codice rosso per maltrattamenti in famiglia in atto, abbia avuto in affido il figlio di 7 anni per le feste, avendo così l’opportunità di ucciderlo? All’indomani della tragedia di Morazzone, in provincia di Varese, la domanda è forte quanto il tormento per quel bambino ammazzato con una coltellata alla gola dal padre in odio alla madre dalla quale si era separato e che a sua volta vittima ha tentato di uccidere.

Varese e quella domanda che non si può eludere: «Perché?»

Su tutte le cronache del giorno dopo campeggia la stessa domanda. E poiché la violenza del 40enne Davide Paitoni non rimanda al caso isolato di un pazzo, ma a un fenomeno sociale diffuso e troppo spesso al centro delle cronache, come quello delle violenze domestiche e degli omicidi ad esse connesse, a domandarselo è anche la politica, che la sua parte cercò di farla proprio con l’approvazione della legge sul Codice rosso. Il problema, però – qui nel caso di Varese come altrove – come sottolineato da più parti, è l’applicazione della legge che, in nome della tutela della bigenitorialità, consente situazioni simili a quelle di Morazzone, che non così di rado degenerano in efferati infanticidi.

La testimonianza sugli “incontri protetti” con padri violenti

Il Messaggero di oggi dà voce, per esempio, allo strazio di Antonella Penati, che piange il figlio ucciso a nove anni dal marito violento. «Io ho davanti agli occhi il mio piccolino nella sua bara bianca. Aveva le manine tagliate perché aveva provato a difendersi, povera creatura. E tutto questo per che cosa? Per un “incontro protetto” con il padre violento», ha raccontato la donna, rammaricandosi per il fatto che neanche il sacrificio del suo bimbo è servito «a far capire al sistema giustizia che era tutto sbagliato…». «E invece siamo qui ad aggiungere il nome di un altro innocente alla lista dei morti. Sapesse quanti ne ho contati in questi anni…», ha riferito la donna, che prima dell’omicidio del suo bambino aveva messo in allerta e pregato tutti «assessori, avvocati, giudici, carabinieri, psicologi, assistenti sociali» per evitare che incontrasse il padre, senza ottenere ascolto.

L’appello a Cartabia: «Intervenga subito»

La stessa sordità contro cui si è scontrata anche la deputata di Forza Italia, Veronica Giannone, segretario della Commissione Infanzia e Adolescenza e componente della Commissione Giustizia. «Sono anni – ha spiegato – che chiedo la sospensione della responsabilità genitoriale in tutti i casi di violenza, di maltrattamenti, di minacce, di stalking, anche se non c’è stata condanna definitiva, seguendo un principio di buon senso e precauzione, ma purtroppo l’applicazione scorretta e distorta della legge sulla bigenitorialità fa sì che tanti bambini siano costretti a passare del tempo, anche contro la propria volontà, con un genitore violento e pericoloso, spesso purtroppo il padre». Giannone, quindi, ha rivolto un appello al ministro della Giustizia, Marta Cartabia, per un intervento urgente.

Salvini su Varese: «Il giudice ha qualcosa da dire?»

È stato, invece, Matteo Salvini a interrogarsi sul ruolo del giudice, per il quale il tentativo di Pitone di uccidere un collega a novembre «non è stato sufficiente per metterlo in carcere». «Chissà se domani leggeremo un’intervista di questo bravo giudice su qualche giornale…», ha aggiunto Salvini, mentre il vicepresidente del Senato, Roberto Calderoli, pur spiegando di voler evitare polemiche, ha sottolineato che sul caso di Varese una domanda non si può eludere: «Quale autorità giudiziaria ha concesso» a un uomo nelle condizioni di Paitoni, «di trascorre le feste di fine anno con il figlio? Stavolta – ha avvertito Calderoli – qualcuno dovrà rispondere».

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