Terrorismo, “Ero in guerra, ma non lo sapevo”: arriva nei cinema il film su Pierluigi Torregiani (video)
Sarà nelle sale il 24, 25 e 26 gennaio il film Ero in guerra, ma non lo sapevo, tratto dall’omonimo libro di Stefano Rabozzi e Alberto Torregiani, figlio di Pierluigi, il gioielliere ucciso a Milano nel 1979 in un agguato dei Pac, i Proletari armati per il comunismo, di Cesare Battisti. La pellicola, diretta da Fabio Resinaro e prodotta da Luca Barbareschi, racconta il caso concentrandosi sulla vicenda di quest’uomo giustiziato perché considerato dai suoi assassini come un «bottegaio poliziotto», poiché si difese da una rapina nella quale uno dei ladri rimase ucciso.
Lo sguardo, però, si allarga anche sul contesto in cui maturò l’efferato omicidio del gioielliere, che costò al figlio Alberto una vita sulla sedia a rotelle. Torregiani, infatti, dopo la rapina andata male, divenne oggetto di una feroce campagna denigratoria, che lo indicò come “nemico del proletariato”, mettendogli addosso quel bersaglio che poi Battisti e i suoi decisero di colpire.
Il film che racconta la figura di Pierluigi Torregiani
Pierluigi Torregiani è interpretato da Fabrizio Montanari, descritto come «credibilissimo» dalle critiche. Laura Chiatti, invece, interpreta la moglie Elena. L’attore, anche a detta di Alberto Torregiani, restituisce il carattere del gioielliere senza cedimenti rispetto alla sua fermezza, tanto da correre il rischio di presentare un personaggio «antipatico». «Lo è suo malgrado, perché si ritrova a vivere in una dinamica più forte di lui che non sopporta più e così si ribella», ha spiegato Montanari, aggiungendo che «lui non accetta di far finta di niente, è fondamentale un uomo pragmatico che non vuole sottostare a qualcosa di cui non è colpevole». Per questo Torregiani, messo sotto scorta per le minacce di morte ricevute, decide comunque di proseguire la sua vita, anche a costo di rischiare.
Barbareschi contro «la stampa che lincia la vittima»
Proprio questa interpretazione, però, restituisce tutta l’etica dell’uomo, che viveva fino in fondo la responsabilità del lavoro, della famiglia allargata grazie all’adozione dei tre figli, del ruolo sociale che si era costruito attraverso attività di filantropia che gli valsero anche l’Ambrogino d’oro. Torregiani, in quegli anni in cui per certi ambienti era una colpa imperdonabile, era dunque un «borghese». E così lo presenta il film, volendo con questo recuperare a pieno tutta quella dignità che gli fu negata dalle campagne avverse e dai suoi assassini. Lo ha spiegato chiaramente anche Luca Barbareschi, sottolineando che «in questa storia c’è l’elaborazione del lutto, non ho mai potuto sopportare che la stampa linciasse una vittima, sostenendo che la politica fosse più importante della vita di un borghese».
Alberto Torregiani: «Mi padre era come lo vedete nel film»
È stato Alberto Torregiani, poi, a chiarire che il suo desiderio era proprio offrire autenticità alla figura del padre. «In primis non desideravo che si raccontasse Pierluigi come una vittima, o come un perbenista, come un uomo a tutti i costi nel giusto. Mio padre era più o meno quello che si vede nel film. Era una persona forte, con un carattere austero, caparbio. Quando nel ’74 siamo stati adottati, papà aveva un negozietto, viveva di oreficeria, di piccoli orologi riparati, di anelli venduti. Sicuramente il fatto di aver creato una famiglia dall’oggi al domani gli ha dato l’impulso a costruire un futuro che fosse più adeguato e sostenibile per tutti noi».
Una storia che non è finita con l’arresto di Cesare Battisti
Un futuro spezzato dai Pac, che nello stesso giorno dell’omicidio Torregiani uccisero anche il macellaio Lino Sabbadin sempre come “rappresaglia” per la sua reazione a una rapina nella quale ad avere la peggio era stato un ladro. «Chiudere i conti col passato, elaborare una tragedia non è facile. Questo film chiude un capitolo, dando una giusta prospettiva a un fatto che troppe volte i giornali hanno rappresentato in modo sbagliato. Il linciaggio mediatico nei confronti di mio padre ha portato quattro intellettuali disgraziati a compiere un omicidio», ha detto ancora Alberto, che tutta la vita si è battuto per avere giustizia e per il quale comunque «con l’arresto di Cesare Battisti non si chiude del tutto la storia di mio padre, ma si dà certamente più valore alle battaglie fatte».