Quirinale, le anime del Pd in ordine sparso. Letta teme che una nuova “carica dei 101” freghi Draghi

28 Dic 2021 13:26 - di Michele Pezza
Letta

Il fantasma dei 101 Grandi elettori Pd che la sera del 18 aprile del 2013 silurarono la candidatura di Romano Prodi nel segreto dell’urna terrorizza ancora Enrico Letta. È appunto per esorcizzarlo che il segretario dem ha convocato per il prossimo 13 gennaio la direzione nazionale del partito integrata dai gruppi parlamentari. Sarà infatti quella la sede per mostrare la granitica compattezza del Pd in vista dell’appuntamento del Quirinale. Ce n’è gran bisogno, del resto, visto che nel partito cominciano affiorare distinguo e prese di posizioni che non lasciano presagire nulla di buono. Prova ne sia, ad esempio, il recente intervento di Goffredo Bettini sul Foglio, tutto proteso ad accreditare la necessità di eleggere a successore di Mattarella una figura diversa da Mario Draghi.

Letta convoca la direzione nazionale

Una tesi che Letta guarda con estremo sospetto anche perché si basa sulla teoria renziana in base alla quale non è scritto da nessuna parte che l’attuale maggioranza di governo dovrà essere fotocopia di quella che eleggerà il nuovo presidente della Repubblica. Bettini non è più il Rasputin dell’era Zingaretti, ma fa coppia fissa con Giuseppe Conte e questo conferisce peso a quelle che lui stesso presenta come «opinioni personali». Ma che tali non siano lo dimostra il fatto che anche la corrente di Base Riformista, che fa capo al ministro Guerini, la pensa allo stesso modo. Come pure altri due pezzi da novanta come Dario Franceschini e Andrea Orlando. E se del ministro dei Beni Culturali si può dire che ambisce a sparigliare le carte perché si sente quirinabile, lo stesso non può dirsi per il suo collega del Lavoro.

La fronda di Bettini e di tre ministri

Tutti insieme – Bettini, Guerini, Franceschini e Orlando – pizzicano la nota che più ammalia il corpaccione del Pd: la continuità della legislatura, che l’elezione di Draghi invece pregiudicherebbe. Ce n’è abbastanza per costringere Letta a spargere prudenza in dosi industriali sulle mosse che ha in mente di fare. Tanto più che bisogna tenere per mano i 5Stelle, molti dei quali pronti a votare chiunque, Berlusconi compreso, pur di non tornare alle urne con un anno di anticipo. Da qui la richiesta a Letta di stanare Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Il primo non fa mistero di essere pronto a lasciare la maggioranza se Draghi andasse al Quirinale mentre la seconda non fa mistero di puntare proprio a questo.

«Mai Berlusconi»

L’idea è notificare ai due leader la volontà di Pd e M5S di proporre un nome condiviso, che non può essere però quello del Cavaliere. Nel caso non vi riuscissero, i Grandi elettori della sinistra resterebbero fuori dall’aula al momento della “chiama” per evitare sorprese. Letta, insomma, ha di fronte a sé un bel dilemma: contribuire a far sparire Draghi dalla scena del Quirinale senza compromettere la vita del governo, e quindi della legislatura. In più, dovrà evitare che al Colle ascenda un nome troppo a destra. In mente lui ha quelli di Giuliano Amato e di Pierferdinando Casini, sempre – ovviamente – “carica dei 101” permettendo.

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