Iena a chi? Travaglio insulta chi dice che Burzi era innocente. Ma è il bue che dà del cornuto all’asino
Dev’essere ridotto proprio a mal partito Marco Travaglio per decidere di tornare a scrivere per i manettari dei bei tempi andati. Non più così numerosi come allora, ma sempre disposti a farsi sedurre dal brivido intenso loro prodotto da ogni sospiro di Procura o di tribunale. Sono la reincarnazione, per fortuna aggiornata e incruenta, delle tricoteuse che al tempo del Terrore robesperriano sibilavano “a morte a morte” mentre a occhi bassi sferruzzavano la lana sotto il patibolo. Neppure lo degnavano di uno sguardo, il morituro. Ne captavano l’avvenuta esecuzione dagli applausi del pubblico alla testa insanguinata mostrata dal boia.
Travaglio contro i difensori della memoria dell’esponente di FI
Travaglio, se possibile, riesce a fare di meglio – pardòn – di peggio. E a bollare come «branco di iene» quanti in questi giorni hanno scritto sulla morte di Angelo Burzi, l’esponente di Forza Italia condannato a tre anni per peculato nel processo d’appello sulla Rimborsopoli piemontese e suicidatosi la vigilia di Natale. «Iene» perché si erano permessi di giurare sull’innocenza del politico e di collegarne la decisione di suicidarsi alla sentenza della Corte d’Appello di Torino. Per il «branco», insomma, nonostante la condanna, Burzi era una persona perbene.
Le parole del Pg
Una vera bestemmia per Travaglio, già di suo restio a riconoscere l’innocenza di un assolto con sentenza irrevocabile, in omaggio alla massima di Piercamillo Davigo secondo cui «l’innocente è solo un colpevole che l’ha fatta franca». Figuriamoci se può farlo per uno come Burzi che l’assoluzione l’aveva ottenuta solo in primo grado. Tanto più che ora può sventolare come una bandierina le parole del Pg di Torino. Queste: «Burzi aveva patteggiato oltre un anno di reclusione, definitiva dal 2020, per una serie di ipotesi che evidentemente non riteneva di poter contestare». Non c’è motivo di dubitarne, ci mancherebbe, sebbene al caso di Burzi meglio s’attaglierebbe, sotto il profilo tecnico-processuale, il termine di concordato.
La massima di Davigo
Comunque sia, la storia recente ci insegna che spesso le inchieste dai risvolti politici presentano troppe opacità perché una richiesta di patteggiamento (e ancor più di un concordato) possa fugare ogni dubbio di malagiustizia. In tal senso, troppe toghe (vero Palamara?) si sono mostrare al di sotto di ogni sospetto. E troppe sentenze hanno risentito del clima mediatico o delle pressioni della pubblica accusa. Non è il caso di Burzi e dei magistrati che lo hanno inquisito e giudicato, ma chi può escludere in partenza che a volte sia avvenuto? Dopotutto, sostenere l’innocenza di uomo condannato è l’altra faccia della massima davighiana di cui sopra. Quel che non si capisce è perché Travaglio sposi incondizionatamente quest’ultima rifiutando pregiudizialmente la prima. Meglio, si capisce benissimo. E chissà che non debba guardarsi allo specchio per vederla davvero la sagoma di una iena.