Censis, il report è amaro: genitori pensionati bancomat dei figli. E il 66% dei giovani non si fida del governo

3 Dic 2021 11:44 - di Bianca Conte
Censis

È drammatica e impietosa la fotografia che il Censis scatta nel 55°Rapporto sulla situazione sociale del Paese/2021. Una istantanea che immortala uno stallo che lascia pochi margini di fiducia nel governa e spazi di speranza sulla prospettiva di una una ripresa a breve termine. La realtà che il report tratteggia è quella di una crisi endemizzata che, con la pandemia, ha accentuato elevando all’ennesima potenza disagio e sfiducia. Reazioni che dai dati sui consumi delle famiglie a quelli sull’occupazione femminile sempre più in ribasso. Passando per l’analisi dei fattori che frenano o congiurano contro la ripresa, aumentando il rischio di un’ infiammata dell’inflazione, delineano un quadro della situazione critico, punteggiato da precarietà e diseguaglianza sociali.

Rapporto Censis, il 66% dei giovani non si fida del governo

Impossibile elencare tutti i temi presi in esame dal report che spazia dalla disoccupazione alla povertà. Soffermandosi su target e opzioni che prendono in esame diverse aree d’intervento e svariate fasce d’età: dalle tipologie di famiglia alle imprese. Dal lavoro ai consumi. Passando per digitale e smart working. Emblematico, allora, nel contesto ad ampio raggio preso in esame, il dato che l’indagine Censis assevera sul 66% dei giovani che non si fida del governo. La precarietà lavorativa sperimentata nei percorsi di vita individuali influenza il clima di fiducia verso lo Stato e le istituzioni. Il 58% della popolazione italiana tende a non fidarsi dell’esecutivo, ma tra i giovani adulti – ed è questo il dato più disarmante – la percentuale sale al 66%. Con i Neet, i ragazzi che non studiano e non lavorano, che rappresentano una eclatante fragilità sociale del nostro Paese. Tra tutti gli Stati europei, l’Italia presenta il dato più elevato, che negli anni continua a aumentare. Nel 2020 erano 2,7 milioni, pari al 29,3% del totale della classe di età 20-34 anni: +5,1% rispetto all’anno precedente. Nel Mezzogiorno sono il 42,5%, quasi il doppio dei coetanei che vivono nelle regioni del Centro (24,9%) o nel Nord (19,9%).

E sul lavoro: occupazione povera di capitale umano e tanti disoccupati laureati

Non solo. In un Paese ad alto tasso di crisi occupazionale, quasi un terzo degli occupati possiede al massimo la licenza media. Sono 6,5 milioni nella classe di età 15-64 anni, di cui 500.000 non hanno titoli di studio o al massimo hanno conseguito la licenza elementare. Anche tra i poco meno di 5 milioni di occupati di 15-34 anni quasi un milione ha conseguito al massimo la licenza media (il 19,2% del totale). 2.659.000 hanno un diploma (54,2%). E 1.304.000 sono laureati (26,6%). Considerando gli occupati con una età di 15-64 anni, la quota dei diplomati scende al 46,7% e quella dei laureati al 24,0%. Un quadro, quello che emerge dal rapporto del Censis, in cui un’occupazione povera di capitale umano. Come anche una disoccupazione che coinvolge un numero rilevante di laureati e offerte di lavoro non orientate a inserire persone con livelli di istruzione elevati indeboliscono la motivazione a fare investimenti nel capitale umano. Per cui, l’83,8% degli italiani ritiene che l’impegno e i risultati conseguiti negli studi non mettono più al riparo i giovani dal rischio di dover restare disoccupati a lungo. L’80,8% degli italiani (soprattutto i giovani: l’87,4%) non riconoscono una correlazione diretta tra l’impegno nella formazione e la garanzia di avere un lavoro stabile e adeguatamente remunerato.

Anziani “bancomat” dei giovani: aumentano le tipologie di famiglie con genitori pensionati

Una situazione a cui si correla strettamente il boom registrato nel 2020 di famiglie italiane che versano in assoluta povertà. con un aumento rilevante rispetto al 2010, quando erano 980.000: +104,8%. L’aumento è sostenuto soprattutto al Nord (+131,4%), rispetto alle aree del Centro (+67,6%) e del Sud (+93,8%). Tra le famiglie cadute in povertà assoluta durante il primo anno di pandemia, il 65% risiede al Nord, il 21% nel Mezzogiorno, il 14% al Centro. E’ il quadro tratteggiato dal Rapporto del Censis, pubblicato oggi. Un quadro che registra e denuncia la crescita di tipologie familiari in cui coesistono genitori pensionati con figli. Nel 2020, del resto, le famiglie con almeno un pensionato da lavoro erano 8,7 milioni (pari al 33,4% del totale), con un aumento del 2,1% rispetto al 2019, ovvero 177.000 nuclei familiari in più. Si tratta di un dato in controtendenza rispetto al decennio antecedente al Covid-19 (2010-2019), quando la stessa tipologia di famiglie era diminuita di 249.000 unità (-2,8%). Peraltro, sempre nel periodo 2019-2020, le coppie di pensionati con figli sono aumentate del 2,7% e sono diventate complessivamente 1,2 milioni. Mentre nel periodo 2010-2019 si era registrata una variazione negativa, pari a -26,7%. Tra il 2019 e il 2020 si contano 443.000 nuclei mono-genitoriali con almeno un pensionato, aumentati in dodici mesi di 18.000 unità (+4,1%). A fronte di un calo nel periodo 2010-2019 di 36.000 unità (-7,8%).

Il Censis sulla rilevanza sociale delle pensioni (e il loro impatto economico)

Una realtà che rilancia con forza il tema della rilevanza sociale delle pensioni. Il 69,7% degli italiani pensa infatti che gli anziani siano il bancomat di figli e nipoti. E allora, riferisce tra le righe il report in oggetto, nel tempo, sottolinea il Censis, andrà valutato l’impatto economico delle misure di anticipo del pensionamento introdotte in questi anni: nel 2020 si registrano 291.479 pensioni anticipate contro le 269.528 pensioni di vecchiaia, mentre nel 2019 le prime erano state 299.416 e quelle di vecchiaia 155.625.

Per la maggioranza degli italiani, tra rischio precarietà e fiducia in Pnrr, non tornerà più il benessere passato

In conclusione, stante la crisi accelerata dalla pandemia e acutizzata dall’emergenza sanitaria, per due terzi degli italiani (il 66,2%) nel nostro Paese si viveva meglio in passato: è il segno di una corsa percepita verso il basso. Per il 51,2%, malgrado il robusto rimbalzo del Pil di quest’anno, non torneremo più alla crescita economica e al benessere del passato. Il Pil dell’Italia era cresciuto complessivamente del 45,2% in termini reali nel decennio degli anni ’70, del 26,9% negli anni ’80. Del 17,3% negli anni ’90. Poi del 3,2% nel primo decennio del nuovo millennio. E dello 0,9% nel decennio pre-pandemia. Prima di crollare dell’8,9% nel 2020. Negli ultimi trent’anni di globalizzazione, tra il 1990 e oggi, l’Italia è l’unico Paese Ocse in cui le retribuzioni medie lorde annue sono diminuite: -2,9% in termini reali rispetto al +276,3% della Lituania, il primo Paese in graduatoria. E rispetto al +33,7% in Germania. E al +31,1% in Francia. L’82,3% degli italiani pensa di meritare di più nel lavoro e il 65,2% nella propria vita in generale. Il 69,6% si dichiara molto inquieto pensando al futuro. Con il dato che sale al 70,8% tra i giovani. Un quadro a dir poco disarmante, quello del Paese, che il rapporto Censis mette nero su bianco (più nero che bianco)…

 

 

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