L’ex Msi Patarino in un libro autobiografico invita all’autocritica: su Craxi e Mani pulite sbagliammo

31 Ott 2021 16:56 - di Riccardo Arbusti
Patarino

Si può ragionare di politica e suggerire idee per l’attualità anche attraverso la rilettura dell’esperienza degli scorsi decenni. È quello che fa Carmine Patarino, parlamentare di lungo corso nelle file della destra, deputato alla Camera per sei legislature dal 1991 al 2013 (con la sola parentesi da non eletto tra il 1996 e il 2001), rievocando la sua personale storia politica. Pugliese di Castellaneta, tessera della Giovane Italia a quindici anni, poi attività nel Msi, in An, nel Pdl e in Fli.

Patarino in un libro autobiografico racconta perché ha scelto la destra

Oggi si dichiara vicino alla proposta di Giorgia Meloni e di fratelli d’Italia. In un bel libro autobiografico scritto in prima persona – Fatti veri mai successi… e realmente accaduti (StampaSud, pp. 175, euro 12,00, con tavole grafiche di Egidio Patarino) – dopo aver sottolineato i punti fermi del suo stare a destra (europeismo, politica sociale, rispetto dell’emigrazione e proposte sull’immigrazione che mai debbono scadere a xenofobia, aspirazione alla pacificazione nazionale) e ricordato i suoi maestri, da Pino Rauti, leader della sua giovinezza, a Romualdi e Almirante, sino a Pinuccio Tatarella, spiega che allora come oggi ci sono dei punti fermi per chi intraprende l’impegno politico. “Vocazione, passione, entusiasmo, questi sono gli elementi che fanno da carburante per accendere il motore e partire per l’avventura politica…”. Aggiungendo che per poi essere un buon politico occorrono, primo di tutto: dedizione costante, impegno totale e, soprattutto, rispetto per le idee degli altri.

Basta con i politici motivati solo dall’idea di fare carriera

Da un po’ di tempo a questa parte, confessa più avanti Patarino, tra quelli che decidono di “scendere in campo” solo pochi sembrano spinti dalla passione disinteressata. Buona parte, invece, sembra motivata dalla possibilità di fare carriera o trovare una sistemazione. E da questo punto di vista l’ex parlamentare invita Giorgia Meloni a stare in guardia, facendo estrema attenzione in un momento espansivo per il partito di verificare che gli ingressi e le adesioni non arrivino da “ambulanti della politica” a caccia di nuove sistemazioni: “Ci furono certuni, approdati in An – spiega – proprio quando era al suo massimo splendore che avevano progetti legittimamente ambiziosi ma una fretta assolutamente ingiustificata. E, pur essendo molto modesti di idee e di consensi, pretendevano di ottenere tutto e subito…”.

L’autocritica di Patarino: su Craxi e Mani pulite abbiamo sbagliato

A un certo punto, l’analisi di Patarino riesce a farsi autocritica. È quando, tratteggiando coloro che nella politica italiana del secondo dopoguerra hanno operato per la pacificazione nazionale – dall’accoppiata Almirante-Berlinguer, sino a Craxi, Cossiga, e all’apertura di Violante da presidente della Camera – riesce a dire: “In quella vicenda noi del Msi non ci comportammo come avremmo dovuto”. L’ex parlamentare si riferisce alla vicenda di Craxi e all’inchiesta Mani Pulite. Bettino Craxi era infatti stato, come presidente del Consiglio e segretario del Psi, il primo a rompere le regole non scritte del cosiddetto “arco costituzionale”.

Fu Craxi da avviare lo “sdoganamento”

Aveva avviato la pratica del riconoscimento – quello che poi sarà chiamato “sdoganamento” – di due milioni di italiani che votavano Msi. Aveva infatti instaurato un dialogo politico e istituzionale con la destra, “seminando il panico nei palazzi del potere” targati Dc e Pci: “Cosa sarebbe accaduto dopo lo sdoganamento del Msi, una volta che fossero caduti i veti? Quali effetti avrebbe prodotto la sua immissione nell’ambito delle trattative e degli accordi, a partire da quelli per la formazione dei governi e per la scelta del capo dello Stato?”.

Per ostacolare le riforme fecero fuori il Cinghialone

Ad avviso (postumo) di Patarino il discrimine politico non sarebbe più stato tra fascismo e antifascismo, e neanche tra comunismo e anticomunismo, ma tra proposte alternative di fronte all’unità nazionale: “ma per evitare che ciò accadesse – scrive – misero in moto una potentissima macchina per far fuori il Cinghialone, non solo sul piano politico”.

Il Msi sbagliò a seguire il clima giustizialista

Vale la pena leggersi per intero l’autocritica di un ex missino capace di farla: “Devo, purtroppo, ammettere che in quella vicenda noi del Msi non ci comportammo come avremmo dovuto. Forse perché travolti dal clima giustizialista che stava interessando l’intera pensiola; forse perché contagiati, come la stragrande maggioranza degli italiani, dal tifo per Mani Pulite e per Di Pietro; forse perché l’anima garantista di gran parte di noi non ebbe la forza di farsi sentire…”. Fatto sta, conclude, “che commettemmo un imperdonabile errore”. Un modo come un altro che può suggerire, anche, il fatto che quella scelta giustizialista conducesse la destra a fare il gioco di forze avversarie ai suoi progetti di conciliazione nazionale.

Craxi sfidò la sinistra sul finanziamento illecito ai partiti

“Che stessimo sbagliando – ribatte Patarino – avremmo dovuto scoprirlo dopo aver ascoltato l’intervento di Craxi tenuto alla Camera il 29 aprile del 1994, un evento di portata storica”. Craxi infatti, da abile e grande combattente, rileva Patarino, ebbe il coraggio, indirizzando continuamente lo sguardo verso i banchi della sinistra con l’evidente e plateale intenzione di sfidarli, di denunciare la lunga storia del finanziamento illecito ai partiti. “Che stessimo sbagliando la scelta di campo – si legge ancora nel libro – avremmo dovuto ancor più facilmente intuire dal fatto che Craxi, più che rivolgersi alla magistratura per difendersi dalle accuse contestategli, mise in evidenza il tentativo di alcuni partiti di processarlo senza alcuna prova, senza alcuna ragione, ma solo per incastrarlo e fargli pagare il conto per tutti”.

Il Msi doveva mettere sul banco degli accusati Pci e Dc

Il Msi, è ora il suo pensiero, avrebbe dovuto partecipare al dibattito, che metteva sul banco degli accusati il Pci e la Dc, e quindi intervenire per chiedere al Parlamento di dare seguito alla denuncia di Craxi attraverso una commissione d’inchiesta parlamentare. Non si sarebbe partecipato alla fine prematura del leader socialista e del suo progetto di Grande Riforma. “Dimostrando la fondatezza delle accuse di Craxi – conclude Patarino – quell’insopportabile sistema sarebbe crollato, l’Italia avrebbe finalmente voltato pagine e al nostro partito sarebbe stato riconosciuto il merito di aver contribuito all’accertamento della verità. Purtroppo non lo facemmo. Sbagliammo”.

Un’analisi coraggiosa e libera

Un’analisi coraggiosa e libera, quella dell’ex parlamentare. Che ancora oggi spinge a un interrogativo: quanto della politica successiva al 1993 è il risultato di quell’errore storico di prospettiva? E se, invece, potesse nascere proprio da quella decisione un cammino diverso e consapevole per la risoluzione della questione nazionale e per una destra a vocazione maggioritaria?

 

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