Castelli disintegra l’inchiesta Fanpage e rilancia: fanno tanto i Robin Hood, ma chi li paga?

8 Ott 2021 17:21 - di Giulia Melodia
Castelli Fanpage

Che l’inchiesta di Fanpage si sia ridotta alla farsa lo abbiamo scritto. E oggi, dopo la seconda puntata dedicata all’indagine da Formigli a Piazza Pulita, al grottesco si unisce anche il sospetto. Due risvolti dell’operato del giornale online che, tra gli altri, lo storico dirigente del Carroccio ed ex ministro della Giustizia, Roberto Castelli, cala come una mannaia sui presunti scoop. «Tirano fuori questa cosa del fascismo perché non hanno altri argomenti per attaccare la Lega. Sono davvero alla frutta», ha dichiarato poco fa Castelli all’AdnKronos, intervenendo sul tema dei presunti legami tra esponenti del partito e frange neofasciste indicati dall’inchiesta di Fanpage.

Roberto Castelli disintegra in due parole l’inchiesta di Fanpage

Una ipotesi che il leghista, non solo respinge al mittente. Ma che smonta con indistruttibile certezza. Innanzitutto, ricordando la matrice antifascista della prima Lega: «Dai, mi pare una cosa assurda parlare di vicinanza con in neofascisti». Un argomento a cui Castelli aggiunge a latere anche un’altra considerazione: «Lo stesso Bossi aveva ex partigiani in famiglia». Ma soprattutto – ricorda ancora l’ex ministro dei governi Berlusconi – a Roma nel ’93 esponenti della destra locale e giovani leghisti sono stati protagonisti di alcuni scontri, specie ai nostri «banchetti allestiti per Maria Ida Germontani, la nostra candidata». Che – come noto – si affacciò alla politica nelle elezioni amministrative proprio di quell’anno avvicinandosi alla Lega Nord. Per la quale si candidò come sindaco nella città di Roma contro Francesco Rutelli e Gianfranco Fini. Ma che alla fine non venne eletta nel consiglio comunale.

«Non abbiamo perso le elezioni per un “pistola” infiltrato da Fanpage»…

La Germontani, negli anni, avrebbe poi aderito ad An. E proprio con il partito di Fini, in Emilia Romagna, la ex leghista fu eletta nel 2006 alla Camera dei deputati. Già, perché proprio come sottolinea sempre Castelli nella sua conversazione con l’Adnkronos, «noi leghisti – ammette – abbiamo idee di destra su temi quali i migranti. L’ordine pubblico». Ma questo non significa «mettere in dubbio i fondamenti democratici» in cui crede il centrodestra, Lega compresa. Per Castelli, allora, siamo semplicemente di fronte a «un tentativo di strumentalizzazione fatto da quattro cazzoni». «Comunque, nulla di preoccupante», conclude. «Noi non abbiamo perso le elezioni a Milano per Fanpage. Abbiamo fatto i nostri errori, ma non è stato certo per un “pistola” infiltrato. Né per la vicenda di Morisi che abbiamo mancato il risultato».

Castelli sull’inchiesta Fanpage: «Infiltrare tre anni un giornalista costa. Visto che fanno tanto i Robin Hood, dicano chi paga»

Ma l’inchiesta Fanpage accusa. Delegittima. Fa scalpore. E Castelli, allora, punta i riflettori proprio sul giornale online. E da lì parte per provare a capire spunto e finalità recondite dell’indagine, che alimentano un dubbio. «Io – conclude allora Castelli – intanto farei una domanda sulla stessa testata. Vorrei capire, per esempio, chi ha pagato per tre anni un giornalista infiltrato, che faceva finta di fare l’imprenditore, mi pare che Fanpage non sia né “Il New York Tymes”, né la “Cnn”. Visto che fanno tanto i Robin Hood, dicano chi paga». Una domanda lecita, oltre che interessante. Ma che, al momento, non ha ancora risposte…

 

 

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