Covid, con il farmaco Lilly mortalità quasi dimezzata nei malati gravi: i numeri lo provano

7 Ago 2021 9:59 - di Paolo Sturaro

Un decesso evitato ogni 6 pazienti Covid trattati con il farmaco Lilly. Nuovi risultati positivi nello studio di fase 3 Cov-Barrier sull’immunosoppressore Baricitinib. Arriva quasi a dimezzare il rischio di mortalità nei malati di Covid-19 più gravi ricoverati in ospedale.

Il farmaco Lilly e la riduzione del rischio

L’analisi ha riguardato una coorte di 101 adulti. I pazienti sottoposti a ventilazione meccanica o Ecmo (ossigenazione extracorporea a membrana) che hanno ricevuto baricitinib associato allo standard di cura avevano il 46% di probabilità in meno di morire entro il giorno 28. Questo, rispetto ai pazienti che hanno ricevuto placebo più standard di cura. La riduzione del rischio di mortalità è stata del 44% entro il giorno 60.

Gli effetti collaterali

Quanto agli effetti collaterali, entro il giorno 28 la frequenza è stata simile nel gruppo baricitinib rispetto al gruppo placebo. In linea fra gruppo trattato e gruppo controllo anche gli eventi tromboembolici venosi. Non sono stati identificati nuovi segnali di sicurezza.

Che cos’è il Baricitinib

Baricitinib è un Jak-inibitore a somministrazione orale. A scoprirlo, Incyte. È stato concesso in licenza a Lilly che intende pubblicare i nuovi dati su una rivista peer-reviewed- Inoltre vuole condividerli con le agenzie regolatorie di Ue, Usa e altri Paesi. A fine luglio la Fda statunitense ha esteso l’autorizzazione all’uso di emergenza (Eua) per baricitinib. In questo modo si permette l’impiego con o senza remdesivir. L’Eua prevede l’utilizzo di baricitinib negli adulti ospedalizzati e nei pazienti pediatrici di età pari o superiore a 2 anni. E cioè, quelli che richiedono ossigeno supplementare, ventilazione meccanica non invasiva o invasiva o Ecmo.

Il giudizio sul farmaco Lilly

«È sempre più evidente che il trattamento con baricitinib può aiutare a prevenire la morte in alcuni dei pazienti Covid più gravi. E che baricitinib rappresenta un’importante opzione di trattamento per questo gruppo vulnerabile di pazienti». Lo dice E. Wesley Ely (Vanderbilt University Medical Center), co-investigator principale del trial.

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