Latina, il leghista Adinolfi indagato per voto di scambio. Pd e M5S ricominciano lo sciacallaggio
Un’inchiesta della Dda di Roma su Latina, nella quale è indagato l’europarlamentare della Lega Matteo Adinolfi, conferma come Pd e M5S non perdano mai il vizio di buttarsi sulle inchieste giudiziarie come sul buffet di un villaggio vacanze. I fatti sono questi: in vista delle elezioni comunali di Latina del 2016, un imprenditore del settore rifiuti, Raffaele Del Prete, coadiuvato dal suo collaboratore, avrebbe assicurato ad Adinolfi, all’epoca capolista di “Noi con Salvini”, 200 voti nei quartieri di influenza del clan Di Silvio, ai cui membri avrebbe dato 45mila euro.
Adinolfi: «Non ho fatto nulla, ho fiducia nella magistratura»
Il collaboratore di Del Prete, secondo l’accusa, sarebbe stato una sorta di “ufficiale di collegamento” tra il clan e la politica locale, mentre Del Prete avrebbe puntato in questo modo ad avere un referente in consiglio comunale per favorire i propri affari. Nell’indagine, a quanto emerso, hanno avuto un ruolo anche due collaboratori di giustizia, che avrebbero confermato le ipotesi investigative. Sia Del Prete sia il suo collaboratore sono ai domiciliari. Adinolfi, raggiunto dall’agenzia di stampa Adnkronos, si è detto innocente e ha chiarito di voler aspettare di vedere «cosa dicono le carte» dell’inchiesta su Latina. «Io ho fiducia nella magistratura, ma io so che non ho fatto nulla. Non aggiungo altro, ora sto rientrando a Roma da Bruxelles», ha precisato.
Lo sciacallaggio di Pd e M5S
Che Adinolfi sia colpevole o meno lo diranno, chissà quando, i giudici. Nel frattempo, però, e in vista del voto di ottobre che coinvolge anche Latina, si è subito scatenato un certo sciacallaggio pavloviano della sinistra all’arrivo del primo avviso di garanzia. Nulla di sorprendente, se non fosse che nelle ultime settimane in questo Paese sono successe un paio di cose, che hanno coinvolto trasversalmente la politica, che avevano fatto sperare in un ravvedimento.
Le scuse per il caso Uggetti sono già dimenticate
La prima è stata il caso del sindaco Pd Simone Uggetti, assolto a fine maggio dall’accusa di aver pilotato un bando comunale dopo cinque anni, una precedente condanna a 10 mesi e un tot di carcere e poi domiciliari. Il caso di Uggetti ha fatto particolare scalpore perché è quello che ha portato Luigi Di Maio a scusarsi, con una lettera al Foglio, per la «gogna mediatica» per fini elettorali e con modalità «grottesche e disdicevoli» a cui il M5S sottopose l’allora sindaco. Come non fosse mai successo. Oggi il M5S ci ricasca e tutto il gruppo nella Commissione Antimafia tuona contro «il pericolo di distruzione del processo democratico» e la Lega che non risolve «i gravi problemi di selezione del suo candidato».
I sette anni di calvario di Alemanno cavalcati dalla sinistra
L’altro caso, ancora più eclatante, è quello di Gianni Alemanno, assolto la settimana scorsa in via definitiva dall’accusa di corruzione, dopo un calvario durato sette anni e segnato anche dall’accusa infamante, caduta già alcuni anni fa, di associazione mafiosa. Anche il caso di Alemanno ha portato a qualche mea culpa, come quello del deputato Pd, Roberto Morassut, che dopo l’assoluzione ha sottolineato, tra l’altro, come «la sinistra democratica non potrà più avvalersi in modo decisivo della chiave ideologica e politica antifascista né della questione morale». Eppure, anche il Pd ci ricasca alla prima occasione, questa di Adinolfi.
Il Pd a Latina ha i suoi guai, ma guarda a quelli degli altri
La senatrice Monica Cirinnà ha sottolineato che «se le accuse venissero confermate ci troveremmo di fronte ad un pericoloso voto di scambio che vede coinvolti politici della Lega, imprenditori e mafiosi» e che «il basso Lazio si dimostra un territorio ad altissimo rischio di infiltrazione criminale che può condizionarne la vita politica, economia e sociale». Il vicesegretario del Pd Lazio, Enzo Foschi, poi, ha parlato di «quadro grave e inquietante» e, in vista del voto di ottobre, si è augurato «che tutte le forze politiche facciano attenzione ai propri candidati e, soprattutto, ai loro rapporti». Il tutto mentre giusto una settimana fa i dem hanno dovuto commissariare la federazione di Latina perché il segretario, l’ex senatore Claudio Moscardelli, è finito ai domiciliari per un caso di concorsi truccati nella sanità.