Gli 80 anni amari di Riccardo Muti: «Mi addolora veder cadere il Paese nell’incultura»

26 Lug 2021 11:10 - di Agnese Russo
riccardo muti

«Mi addolora veder cadere il Paese nell’incultura. Campiamo con la rendita di gloriosi trascorsi a cui siamo inadeguati. Abbiamo un patrimonio culturale immenso che precipita malgrado lo sforzo di alcuni singoli. Stimo Franceschini, ma una persona sola non basta». Alla vigilia degli 80 anni, che compirà il 28 luglio, il maestro Riccardo Muti torna a parlare della sua disillusione per le «carenze» della politica di fronte alla cultura. L’occasione è una lunga intervista nella quale, prendendo spunto dal suo legame con Napoli, Muti parla di Totò e, soprattutto, Eduardo De Filippo, facendo sue alcune riflessioni del grande drammaturgo e attore sui temi della formazione e dell’educazione.

Il rapporto tra Riccardo Muti e Napoli

«Eduardo descrisse la piccola e media borghesia napoletana, mentre Totò era la Napoli della miseria e della fame. Eduardo coglieva aspetti di un ceto più o meno benestante e li universalizzava. Ma entrambi riflettono la tragica maschera partenopea. Una tragedia che non prescinde dalla comicità. L’importante, riferendosi a Napoli, è non ridurla a stereotipi», ha detto a Repubblica il maestro, che a Napoli nacque per volontà della madre. «Eduardo – ha aggiunto – polemizzava contro la napoletanità superficiale, sciatta, negativa o feroce. In effetti esiste. Ma accanto c’è una Napoli gigantesca le cui qualità non sono dimenticabili». Il riferimento è, «tra l’altro, al legame con Virgilio o agli splendori di Federico II, a Giambattista Vico e a Gaetano Filangieri, che contribuì alla stesura della Costituzione americana. O ancora alla Biblioteca dei Girolamini e a quella del Conservatorio, che custodisce le partiture del prezioso Settecento musicale napoletano».

«Mi addolora veder cadere il Paese nell’incultura»

Per Muti, quindi, «le istituzioni dovrebbero convergere per esaltare le straordinarie peculiarità cittadine. Eduardo ha penato e combattuto per questo, come Roberto De Simone, mente libera ed esponente dell’anima più autentica di Napoli, fondata anche su una teutonicità rigorosa dovuta all’influsso dei Borboni e dei Normanni». Proprio parlando di Eduardo, il maestro è tornato su uno degli argomenti che gli sta più a cuore, l’educazione e la formazione. «Per lui il teatro era una fonte irrinunciabile di formazione e si lamentava delle carenze a cui i politici non ponevano rimedio. Io penso le stesse cose rispetto alla musica e ne parlo da una vita. Mancano le orchestre, l’insegnamento musicale nelle scuole è inesistente, troppi teatri storici restano chiusi. Mi addolora veder cadere il Paese nell’incultura», ha detto il maestro a Repubblica.

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