Le lesbiche contro la dittatura trans, ma il Gay Pride le ignora e sfila in nome del ddl Zan

5 Giu 2021 9:10 - di Sveva Ferri
pride zan

Oggi pomeriggio a Torino andrà in scena il Gay Pride, principale evento che dà il via al “Pride Month”. La manifestazione quest’anno è dedicata al sostegno del ddl Zan e vede la partecipazione, oltre che delle associazioni Lgbt, anche dei sindacati e di esponenti politici della sinistra e del M5S, sindaco Chiara Appendino in testa. Mai come quest’anno, però, la giornata dell’orgoglio gay promette di essere divisiva proprio del mondo omosessuale, proprio come lo è il ddl Zan.

Al centro del dibattito resta l’impianto generale della legge e quell’insistenza sull’identità di genere che suscita problemi di ogni sorta: da quelli giuridici, sottolineati da eminenti giuristi, fra i quali gli ultimi in ordine di tempo Carlo Nordio e Giovanni Maria Flick, a quelli interni alle “minoranze” che la legge vorrebbe tutelare. Fra queste il testo, non senza suscitare grandissime perplessità e forti proteste, pone anche le donne che, come più volte sottolineato tanto dalle associazioni femministe quanto da quelle lesbiche, rischiano di finire discriminate proprio dagli effetti della legge, troppo sbilanciata sulle questioni trans.

Il Pride 2021 in nome del ddl Zan

A fare il punto sulla portata e sulla consistenza delle proteste del mondo lesbico di fronte alla “legge dei buoni” è stata oggi La Verità, con un articolo firmato dal vicedirettore Francesco Borgonovo. Ricordando come per beneficiare di tutele e poi «soldi, visibilità e spazio serve una cosa soltanto: essere graditi alla sinistra», Borgonovo ha ripercorso le tappe di esclusione dal dibattito pubblico delle voci lesbiche non prone all’ideologia gender e, quindi, contrarie al ddl Zan. In particolare, La Verità ha dato visibilità a un libro di cui assai poco, per non dire nulla, si è parlato: Noi, le lesbiche, edito da Il dito e le Luna.

Un dibattito monopolizzato dal gender

Nel volume si racconta di come le lesbiche si siano viste sbarrare la strada nei dibattiti sui temi Lgbt, perché gli attivisti trans rendono «impossibile ad alcune persone parlare in luoghi pubblici, università o convegni». Il punto è che queste lesbiche contro cui si abbatte la mannaia della censura, al pari delle femministe, sostengono che «nella specie umana i sessi sono due, non un continuum». «Sostenere che il sesso è inesistente mina le fondamenta stesse della definizione di omosessualità e transessualità. Se non è la vagina a fare la donna, dobbiamo pensare che sia l’amore innato per il colore rosa, per il tacco 12 e per i trucchi che costituiscono l’essenza delle donne?».

La censura contro chi difende le donne

Il libro presenta anche alcuni esempi che possono risultare particolarmente urticanti per le anime belle, perché ne mettono in evidenza tutte le contraddizioni. «Nessuna – si legge – può accettare che un bianco prenda molta melanina, si arricci i capelli e poi si dichiari nero e pretenda di usufruire delle opportunità previste dalle politiche di azioni positive per le persone nere. Eppure anche in Italia i transattivisti rivendicano che la sola autodichiarazione, senza percorso ormonale, sia sufficiente al cambio anagrafico di sesso».

Sono le stesse obiezioni, si diceva, poste anche dalla parte più rigorosa del mondo femminista, al quale diede voce anche J. K. Rowling quando scrisse che le donne sono quelle che «hanno le mestruazioni». Un’affermazione lapalissiana, che però le valse l’accusa di essere una “feminazi” e una Terf (Trans-Exclusionary Radical Feminist, femminista radicale che esclude i transessuali). Le stesse accuse mosse anche alle lesbiche. E, insieme all’onnicompresivo “omofobi”, a chiunque osi mettere in discussione il “verbo” gender.

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