Ergastolo confermato per Ratko Mladic, il boia di Sebrenica che amava le fragole e gli scrittori russi

8 Giu 2021 17:24 - di Lucio Meo

La Corte ad hoc dell’Onu per i crimini di guerra ha confermato in ultima istanza la condanna all’ergastolo per l’ex generale serbobosniaco Ratko Mladic, 78 anni, accusato del massacro di Srebrenica. A quasi 26 anni da quei fatti, il caso si chiude definitivamente. I giudici dell’International Residual Mechanism for Criminal Tribunals hanno pronunciato il verdetto finale in appello per l’ex generale, comandante militare dei serbi di Bosnia Erzegovina, responsabile dell’uccisione, nel luglio 1995, di circa 8mila tra ragazzi e uomini musulmani della Bosnia, nell’enclave ‘protetta’ delle Nazioni Unite a Srebrenica, nella Bosnia orientale.

Ratko Mladic responsabile anche dell’assedio di Sarajevo

Nel 2017, Mladic era stato condannato al carcere a vita in prima istanza per crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidio: i capi di imputazione riguardavano, tra le altre cose, l’assedio alla città di Sarajevo con oltre 10mila morti, la persecuzione ed espulsione dei bosniaci non serbi dalla regione e il genocidio di Srebrenica, la peggiore atrocità commessa dai tempi della seconda guerra mondiale.

Mladic fuggì subito dopo la fine della guerra in Bosnia, nel 1995, ormai raggiunto da un atto di incriminazione per crimini di guerra. Riuscì a sfuggire alla cattura per 16 anni, fino al maggio del 2011, quando venne raggiunto dagli uomini della polizia nella sua abitazione a Lazarevo, vicino Belgrado. Appena arrestato aveva chiesto fragole e libri di letteratura russa, da Tolstoj a Turgenev. Durante gli anni della fuga potè contare sull’appoggio e la protezione dell’allora presidente serbo Slobodan Milosevic e a Belgrado fu visto frequentare ristoranti affollati, stadi e ippodromi, scortato.

Nel Duemila Milosevic era stato costretto a lasciare il potere e l’anno successivo fu consegnato ai giudici dell’Aja. Malgrado questo Mladic riuscì a restare libero per altri dieci anni, più di Radovan Karadzic, l’ex leader politico dei serbi di Bosnia, arrestato nel luglio 2008.

La storia del boia di Sebrenica

Nato a Kalinovik, nel sud della Bosnia Erzegovina, nel 1943, Mladic perse a due anni il padre che morì combattendo contro gli Ustascia croati. Crebbe nella Jugoslavia di Tito e divenne ufficiale dell’Esercito popolare jugoslavo. Militare di carriera, all’inizio della guerra in Jugoslavia, nel 1991, fu nominato a capo del Nono Corpo d’Armata Jugoslavo assegnato a Knin, in quella che allora – dopo la proclamazione di indipendenza della Croazia dalla Jugoslavia – divenne l’autoproclamara Repubblica serba di Krajina, zona a maggioranza serba autoproclamata indipendente da Zagabria. Un anno dopo fu messo a capo del nuovo esercito serbobosniaco. Il 1992 è anche l’anno di inizio della guerra in Bosnia Erzegovina, che durò tre anni e si concluse – con centomila morti e oltre 2 milioni di profughi e sfollati – dopo il massacro di Srebrenica. L’ex capo militare dei serbi di Bosnia era stato condannato nel 2017 in primo grado all’ergastolo per il genocidio di Srebrenica, l’assedio di Sarajevo e altri crimini di guerra durante il conflitto armato in Bosnia del 1992-1995.

La giuria era  guidata dalla presidente dello Zambia, Prisca Matimba Nyambe. La sentenza nel processo d’appello a Mladic ha chiuso quasi tutti i procedimenti delle Nazioni Unite per i crimini commessi in una guerra che ha ucciso più di 100.000 persone e ha lasciato milioni di sfollati.

“Un pazzo da legare”

Il generale francese Jean Heinrich, un ex-comandante delle forze della Nato durante la guerra nella ex-Jugoslavia, aveva detto che Ratko Mladic era «un pazzo da legare», totalmente «incontrollabile», un «capo banda» più che un «capo di guerra». «Era un generale, ma incapace di tenere i suoi uomini. Era più un capo banda che un capo di guerra, poco efficace sul piano militare, e al tempo stesso incontrollabile, pronto a tutto, con un grande carisma sulle sue truppe», raccontò Heinrich in un’intervista all’agenzia France Presse.

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