Desiree, anche il quarto condannato resta in cella. La rabbia della mamma: “Volevo l’ergastolo per tutti”

20 Giu 2021 10:17 - di Greta Paolucci
Desiree

Arriva la sentenza per il brutale omicidio di Desiree Mariottini: e ancora una volta lascia l’amaro in bocca per un verdetto che non rende piena e definitiva giustizia. Infatti, nonostante due ergastoli e altre due condanne a 27 anni e 24 anni e mezzo, c’è stato subito un disguido. Uno degli imputati era tornato libero per scadenza dei termini di custodia cautelare. Tanto che, sulle prime, quello della mamma della 16enne era stato un commento amaro: «Non ho avuto giustizia». Oggi, poi, il caso si chiarisce: e se ieri per Minthe, nonostante la condanna a 24 anni e mezzo, le carte sembravano disporre la scarcerazione per i fatti di droga, oggi, il drammatico equivoco sembra risolto. L’imputato, infatti, raggiunto dall’ordinanza custodia per omicidio, non lascia il carcere.

Desiree Mariottini: arriva la sentenza per i suoi assassini

Questo hanno stabilito, dunque, dopo oltre nove ore di camera di consiglio, i giudici della terza Corte d’Assise di Roma che hanno emesso la sentenza per l’omicidio di Desirée Mariottini, la sedicenne di Cisterna di Latina trovata morta in un palazzo di via dei Lucani (nel quartiere San Lorenzo), il 19 ottobre del 2018. I giudici hanno condannato Alinno Chima, Mamadou Gara, Yussef Salia e Brian Minthe, accusati di avere violentato e ucciso con un mix di droghe la sedicenne. I capi d’imputazione erano, a vario titolo, di omicidio volontario, violenza sessuale aggravata e cessione di stupefacenti a minori.

Le accuse: omicidio volontario, violenza sessuale aggravata, cessione di stupefacenti a minori

In particolare, i togati hanno condannato all’ergastolo Mamadou Gara e Yusef Salia. Mentre a Brian Minteh hanno sancito il verdetto che lo condanna a 24 anni e mezzo Brian Minteh. Tuttavia, come anticipato in apertura, l’uomo è già tornato libero per scadenza dei termini di custodia cautelare. Per Alinno Chima, invece, la sentenza ha stabilito una condanna a 27 anni. Lo scorso dicembre i pm Maria Monteleone e Stefano Pizza avevano chiesto l’ergastolo per tutti e quattro gli imputati con isolamento diurno per un anno.

La drammatica reazione della mamma di Desiree in aula

La mamma di Desiree, Barbara, era in aula con indosso una maglietta bianca con la foto della figlia. Accompagnata dai familiari e dalle amiche della giovane vittima. Dopo la lettura della sentenza una donna dal pubblico ha urlato «maledetti. Possiate bruciare all’inferno». Un grido di dolore a cui è seguito un commento drammaticamente amaro: «Mi attendevo quattro ergastoli. Non sono soddisfatta di questa sentenza. Soprattutto perché uno degli imputati torna libero. E questo non doveva succedere. Non ho avuto giustizia»…

Omicidio Desiree, le tappe della terribile vicenda

Dunque, a quasi tre anni di distanza dai fatti, arriva la sentenza del processo. Una sentenza che lascia l’amaro in bocca. Queste, comunque, le principali tappe della vicenda:

1) 18-19 ottobre 2018: nella notte le forze dell’ordine trovano il corpo senza vita di Desiree, abbandonato su un lettino con sopra una coperta, all’interno dello stabile abbandonato di via dei Lucani, a San Lorenzo, Roma. Dietro quel tragico ritrovamento, c’è una storia di droga, di fragilità e di degrado, che lascia i romani sgomenti.

2) 25 ottobre 2018: i poliziotti della squadra mobile di Roma e del commissariato San Lorenzo fermano due senegalesi, irregolari in Italia: Mamadou Gara e Brian Minteh. I due sono ritenuti responsabili, in concorso con altre due persone, ricercate, di violenza sessuale di gruppo, cessione di stupefacenti e omicidio volontario. Gli altri due arresti scattano nelle ore successive: in manette finiscono Alinno Chima, 47 anni, e Yusef Salia. Intanto si cominciano a delineare i contorni della vicenda. La 16enne sarebbe rimasta in stato di incoscienza per diverse ore prima di morire: alla ragazza sarebbe stata somministrata droga il 18 pomeriggio e mentre era in stato di incoscienza è stata vittima di abusi.

3) 13 novembre 2018: Il Tribunale del Riesame fa cadere l’accusa di omicidio per Alinno Chima: secondo il giudice l’uomo avrebbe stuprato Desiree ma non le avrebbe dato la droga.

Le accuse e le costituzioni di parte civile

4) 15 aprile 2019: per Chima torna l’accusa di omicidio. Per il nigeriano la nuova misura cautelare arriva dopo i risultati del test del Dna effettuato sul corpo della 16enne e su una serie di reperti. Il Dna dell’uomo risulta su un flacone di metadone e su una cannuccia utilizzata anche da Desiree per fumare crack.

5) 21 giugno 2019: la Procura di Roma chiude le indagini, condotte dagli agenti della Squadra Mobile e coordinate dal procuratore aggiunto Maria Monteleone e dal pm Stefano Pizza. Alinno Chima, Mamadou Gara, detto Paco, il ghanese Yusef Salia e il 43enne senegalese Brian Minthe sono tutti accusati di concorso in omicidio volontario, violenza sessuale di gruppo e cessione e somministrazione di droga a minore.

6) 8 ottobre 2019: all’udienza preliminare si costituiscono parte civile Comune di Roma, Regione Lazio, Telefono Rosa e le associazioni Insieme con Marianna e Dont’t worry- Noi possiamo Onlus. In incidente probatorio, un testimone riferisce che gli imputati impedirono di chiamare i soccorsi per aiutare la ragazza. Il testimone, che si trovava all’interno dell’edificio di via dei Lucani, è stato chiamato a confermare con atto istruttorio irripetibile quanto già detto nel corso delle indagini a inquirenti e investigatori. E cioè che voleva chiamare l’ambulanza, ma gli indigati glielo impedirono.

Desiree, a poco più di un anno dalla morte i 4 africani vanno a processo

7) 21 ottobre 2019: a poco più di un anno dalla morte della 16enne, il gup di Roma Clementina Forleo manda a processo i 4 cittadini africani: secondo l’accusa avrebbero abusato a turno della ragazza dopo averle fatto assumere un mix di droghe che ne ha provocato la morte.

8) 4 dicembre 2019: si apre il processo per l’omicidio di Desiree Mariottini. In aula prende la parola Yusef Salia: «Non sono responsabile della morte di questa ragazza. Chiedo perdono e scusa alla madre e alla famiglia. E rispetto il loro dolore», dice annunciando di ritirare la denuncia presentata contro i genitori della 16enne per omessa vigilanza sulla giovane.

9) 15 gennaio 2020: la Terza Corte di Assise decide di proseguire a porte chiuse il processo che si svolge nell’aula bunker di Rebibbia: una scelta legata alla minore età della vittima e al tipo di reati contestati agli imputati.

Il processo si sposta sul luogo del delitto. Le parole del papà di Desiree

10) 27 gennaio 2020: la Cassazione conferma il carcere per Alinno Chima, alla luce anche «delle risultanze delle indagini tecniche sui campioni biologici». Da cui è emersa la «prova della somministrazione degli stupefacenti alla vittima da parte dell’indagato. In specie per quanto concerne il metadone, il cui sovradosaggio è stato individuato dai consulenti come la probabile causa di morte della ragazza». In aula al processo intanto parla Gianluca Zuncheddu, il papà di Desiree: «Ho cercato di salvarla ma non ho potuto fare niente», dichiara in lacrime.

11) 14 novembre 2020: dall’aula bunker di Rebibbia, il processo si sposta sul luogo del delitto, con un sopralluogo di pm e avvocati, durato oltre due ore, nell’edificio abbandonato di via dei Lucani, dove è morta Desiree. A turno, muniti di mascherina e guanti per le norme anti contagio, pm, giudici, avvocati di parte civile, difese e gli agenti della Polizia di Stato che hanno curato le indagini, visitano l’interno dello stabile, sotto sequestro da due anni. Osservano i luoghi dove sono accaduti i fatti per poterli confrontare con quanto i testimoni hanno dichiarato.

12) 14 dicembre 2020: il procuratore aggiunto Maria Monteleone e il pm Stefano Pizza chiedono l’ergastolo per tutti e quattro gli imputati con isolamento diurno per un anno. Assoluzione per Gara, solo dalle accuse di cessione di stupefacenti e induzione alla prostituzione. Si arriva così alla sentenza pronunciata  ieri sera.

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