Mottarone, la confessione degli arrestati: “Dopo il lockdown avevamo bisogno di fare più soldi”

26 Mag 2021 12:09 - di Carlo Marini
Funivia Mottarone FOTO

“Se fosse confermato, sarebbe una cosa di una gravità inaudita. Se la Procura si è mossa così avrà avuto buone ragioni. Credo, se dovesse essere stata una scelta volontaria, penso, che la giustizia dovrà essere implacabile per la serità della Nazione, dello Stato, per chiarezza”. Lo ha detto Giorgia Meloni, a Sky, dopo i tre arresti per l’incidente della funivia del Mottarone.

Ecco perché hanno tolto il freno alla funivia del Mottarone

Sviluppi che tracciano in quadro inquietante. La strage che ha provocato 14 morti e un bambino in condizioni gravissime, ha avuto origine per una mera speculazione economica.  Le tre persone fermate, tra cui il gestore dell’impianto della funivia del Mottarone, devono infatti rispondere di “Rimozione od omissione dolosa di cautele”. Reato previsto dell’articolo 437 del codice penale. Il cavo trainante spezzato è “l’innesco della tragedia” sulla funivia del Mottarone, come ricordava la Meloni facendo riferimento alle parole degli inquirenti, c’è un comportamento “consapevole e sconcertante”. Il gestore e i suoi consulenti hanno preferito il guadagno alla sicurezza. Il procuratore di Verbania Olimpia Bossi è provata non solo per i lunghi interrogatori che hanno portato al fermo di un ingegnere, di un capo operativo e del gestore della funivia Luigi Nerini, Ma è sconvolta anche dalla scoperta che “per settimane” chiunque ha messo piede su quella cabinovia era a rischio.

La corsa al profitto dopo il lockdown

Una scelta “molto sconcertante” quella che i tre – ora in carcere per un quadro indiziario ritenuto “grave” – hanno portato avanti pur di evitare una riparazione adeguata del sistema frenante. Riparazione che probabilmente avrebbe portato a una lunga chiusura dell’impianto. E qui, il maledetto lockdown torna a riecheggiare. Le casse erano infatti state messe già a dura prova dalle chiusure a oltranza.

“Abbiamo potuto accertare, in particolare dall’analisi dei reperti fotografici, che la cabina precipitata presentava il sistema di emergenza dei freni manomesso. E cioè non era stato rimosso o meglio era stato apposto il ‘forchettone’ che tiene distante le ganasce dei freni che avrebbe dovuto bloccare il cavo in caso di rottura”. Un malfunzionamento che i tre ignorano. C’è un intervento il 3 maggio scorso. Ma poi si chiudono gli occhi di fronte ad altre spie iniziate fin dalla riapertura del 26 aprile. La loro convinzione? Il cavo non si sarebbe mai tranciato.

L’ultimo tassello mancante: perché il cavo si è spezzato?

Insomma, la manutenzione di maggio avrebbe risolto solo in parte il problema quindi per evitare ulteriori interruzioni del servizio, i tre hanno scelto di aggirare le norme e impedire al freno d’emergenza di entrare in funzione.

Così poco prima di mezzogiorno di domenica 23 maggio quell’inerzia sulla sicurezza costa la vita a 14 persone. I tre devono rispondere di omicidio colposo plurimo, lesioni colpose nei confronti di un bambino (unico sopravvissuto) rimasto gravemente ferito e di rimozione od omissione dolosa di cautele – punisce chi omette di collocare strumento destinati a prevenire infortuni – aggravata se dal fatto deriva un disastro, come in questo caso.

Il numero degli indagati sembra destinato a crescere a breve. L’inchiesta deve ora cercare di appurare anche perché quel cavo si è spezzato, dando il via al primo passo di una tragedia che poteva essere evitata.

 

 

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