Bobby Sands, a 40 anni dalla tragica morte a Belfast si riaprono antiche ferite (video)
Non poteva cadere in un momento più delicato per l’Irlanda del Nord il 40esimo anniversario della morte di Bobby Sands. Concretamente, forse per la prima volta dall’aprile del 1998, quando venne firmato l’Accordo del Venerdì Santo, il processo di pace traballa pericolosamente, sotto la spinta delle contraddizioni esposte dalla Brexit, della crisi politica in seno al fronte politico protestante-unionista, del malumore dei cattolici. Sarà anche per questo che la stampa britannica e irlandese sembra per lo più ignorare la ricorrenza, quasi a volere esorcizzare il rischio che il riaprirsi di antiche ferite possa aggravare i problemi del presente.
Il silenzio imbarazzato dei media britannici
Sicuramente più numerosi sono stati gli articoli usciti tra la fine di febbraio e l’inizio di marzo, per ricordare l’inizio dello sciopero della fame deciso nel 1981 dal gruppo di prigionieri dell’Ira, capeggiato da Sands, nel carcere di Long Kesh, il Maze, il Labirinto. L’azione fu decisa dopo il fallimento dei precedenti tentativi (la ‘protesta delle coperte’, la ‘protesta dello sporco’) per costringere il governo di Londra a ripristinare lo status di prigionieri politici, cancellato nel 1976, ai combattenti dell’Ira rinchiusi nei famigerati Blocchi H.
A differenza del precedente sciopero della fame del 1980, quando tutti i prigionieri repubblicani che vi presero parte si fermarono dopo 53 giorni, di fronte alle condizioni disperate di uno di loro, Sean McKenna, e alle vaghe promesse, mai concretizzate, della premier britannica Margaret Thatcher, per quello del 1981 fu scelta una modalità diversa. I vari prigionieri si sarebbero uniti allo sciopero della fame a intervalli regolari, per mantenere costante la protesta e l’attenzione dell’opinione pubblica. Il primo ad iniziare fu appunto Bobby Sands, il 1 marzo.
Bobby Sands è morto in carcere da deputato della Camera dei Comuni
Sands morì all’età di 27 anni dopo 66 giorni di un drammatico braccio di ferro col governo britannico, che non cedette alle pressioni interne ed internazionali di chi chiedeva l’apertura ad una qualche forma di dialogo. La sua lenta ed implacabile discesa verso l’annientamento fisico è descritta drammaticamente in ‘Hunger‘, il film del 2008 di Steve McQueen, con Michael Fassbender nel ruolo di Sands. Nel frattempo, poco dopo l’inizio dello sciopero, Sands era divenuto a tutti gli effetti un deputato della Camera dei Comuni, eletto nel collegio nordirlandese di Fermanagh and South Tyrone nelle liste dello Sinn Fein, l’ala politica dell’Ira, con oltre 30mila voti, il più giovane deputato di Westminster.
Dopo Sands, nell’arco di poco più di tre mesi, morirono l’uno dopo l’altro altri 9 prigionieri repubblicani che si erano uniti allo sciopero, 6 dell’Ira e 3 dell’Inla, (Irish National Liberation Army). Lo sciopero della fame terminò definitivamente ad ottobre, quando gli altri prigionieri che vi partecipavano, compresero che le loro famiglie avrebbero autorizzato l’alimentazione forzata, per impedirne la morte. In seguito, il governo britannico varò una riforma del sistema carcerario in Irlanda del Nord, che accoglieva molte delle richieste fatte dai prigionieri.
Eppure, nonostante la sofferenza – il martirio, rivendicò subito l’Ira – di Sands non fu isolata, fu proprio il nome di Sands ad identificarsi con una protesta che ebbe due riconosciuti meriti storici. Il primo, quello di aver sollevato il velo di indifferenza internazionale che avvolgeva da anni i ‘Toubles’, i disordini, come i britannici definivano eufemisticamente il conflitto, facendo guadagnare molti consensi alla causa dei cattolici repubblicani; il secondo merito, fu quello di far comprendere all’Ira che la sola strategia militare non poteva essere sufficiente.
Alla lotta armata, i repubblicani nordirlandesi affiancarono così quella politica, a partire proprio dall’elezione di Sands, dopo che la partecipazione alle elezioni era sempre stata considerata un tabù. Seguirono certamente altri anni di violenze, lutti e ambiguità politiche, ma lo sbocco naturale della rinnovata strategia dell’Ira, con la progressiva crescita, in termini di rilevanza politica, dello Sinn Fein, portò infine agli accordi di pace del 1998.
La Brexit ha riaperto antiche ferite
Il compromesso raggiunto allora, con la storica firma del Belfast Agreement, nel giorno del Venerdì Santo, mostra oggi tutti i suoi limiti e spinge sia il governo di Londra che quello di Dublino ad abbassare i toni e ad invitare tutti gli attori politici nordirlandesi alla ragionevolezza. La Brexit, soprattutto, ha riaperto vecchie ferite. Il Protocollo nordirlandese, quel capitolo dell’accordo tra Londra e Bruxelles che regola il nuovo status extra Ue delle sei contee dell’Irlanda del Nord e il loro rapporto con la confinante Repubblica d’Irlanda, ha sollevato una fortissima ondata di malcontento negli unionisti protestanti.
La creazione, di fatto, di un confine nel Mare d’Irlanda, tra l’Irlanda del Nord e il resto della Gran Bretagna, agli occhi degli unionisti è l’attestazione di una cittadinanza di serie B, che li allontana dal Regno Unito e li avvicina ‘troppo’ alla Repubblica d’Irlanda. Senza contare le difficoltà nella gestione del traffico delle merci al confine, e i morsi della crisi economica nelle aree della working class protestante, che si sente lasciata indietro, rispetto al relativo benessere di cui invece avrebbe beneficiato grazie agli accordi di pace e ai generosi contributi dell’Unione europea la comunità cattolica, dopo anni di subalternità.
La crisi degli unionisti irlandesi
Una situazione esplosiva che ha portato nel giro di poche settimane, dopo lo scoppio delle prime manifestazioni violente, alle dimissioni di Arlene Foster. La donna forte del Dup, il Democratic Unionist Party, la principale formazione politica unionista, che divide il potere con i cattolici dello Sinn Fein in base all’accordo di ‘power sharing’ sancito nel 1998, è stata costretta a lasciare il suo ruolo di leader di partito e di first minister del governo regionale. A metterla fuori gioco è stata una rivolta interna dei deputati e dei vertici del Dup , che le imputavano un’eccessiva passività rispetto alle contraddizioni emerse con la Brexit.
Ad aumentare la rabbia della comunità protestante c’è stato anche il recente proscioglimento di 24 esponenti politici dello Sinn Fein, compresa la vice first minister Michelle O’Neill, che lo scorso giugno avevano partecipato, in piena pandemia, al funerale dell’ex leader dell’Ira Bobby Storey, violando le regole del lockdown. Per gli unionisti, questo è stato l’ennesimo segnale di un trattamento di favore per i cattolici da parte delle istituzioni e della polizia.
Un ribaltamento paradossale dei rapporti di forza, secondo la narrativa delle frange più estreme del fronte unionista, rispetto agli anni in cui l’Irlanda del Nord conservava ancora l’antico nome di Ulster, i cattolici erano di fatto esclusi dalla vita politica e tenuti ai margini di quella economica, e la polizia, poi riformata nel 2001, si chiamava Royal Ulster Constabulary era a maggioranza protestante e non di rado era collusa con i corpi paramilitari unionisti.
Bobby Sands, l’anniversario dimenticato
Un’Irlanda del Nord, insomma, nella quale era cresciuto Bobby Sands, maturando la sua scelta radicale di adesione all’Ira, spiegata da lui stesso come una reazione alle violenze dei protestanti. “Avevo visto troppe case distrutte, padri e figli arrestati, amici assassinati. Troppi gas, sparatorie e sangue, la maggior parte del quale della nostra stessa gente. A 18 anni e mezzo mi unii all’IRA”, raccontò.
Ed è recentissima la riapertura di un’altra antica ferita, stavolta per la comunità cattolica, con l’inattesa, quanto rapida conclusione del processo contro due ex paracadutisti britannici, accusati dell’omicidio in di un comandante del’Ira, Joe McCann, avvenuto quasi 50 anni fa. Il proscioglimento dei due ex militari, ormai settantenni, è stato salutato con enfasi dalla stampa conservatrice britannica, che contesta il tentativo più politico, che giudiziario, di portare alla sbarra a decenni di distanza quanti, tra i soldati inviati da Londra negli anni dei ‘Troubles’, si sarebbero macchiati di crimini.
In questo clima di instabilità politica ed emotiva, aggravato dalle difficoltà imposte da oltre un anno di pandemia, c’è ora il rischio che con l’arrivo, in estate, della stagione delle Marce Orangiste, possano riaprirsi altre dolorose ferite. Quelle stesse marce orangiste che all’inizio degli anni ’70 sfociavano inevitabilmente in tumulti e violenze tra protestanti e cattolici, al punto di spingere giovani come Bobby Sands ad abbracciare la lotta armata.