Burger King si scotta con l’ipocrisia femminista. E finisce sulla graticola del politicamente corretto
Burger King si scotta con l’ipocrita pubblicità a favore delle donne per l’8 marzo. E finisce carbonizzato in men che non si dica sulla graticola del politicamente corretto.
Una lezione antica come il mondo: donne e umorismo vanno maneggiate con molta cura e attenzione. Soprattutto se l’intento è fare marketing. E soprattutto se sul calendario c’è scritto, a caratteri cubitali, 8 MARZO.
Una data sacra per le ultrafemmiste, per le severe ancelle del politically correct in chiave femminile appostate dietro ai cespugli e pronte a impallinare chiunque solo osi parlare delle donne “quel giorno”. Come ti permetti se non hai il passaporto culturale rilasciato, timbrato e controfirmato dal Consiglio di Amministrazione del Gentil Consesso?
“Le donne stanno in cucina” , ha osato scrivere – senza prima chiedere l’autorizzazione a “Loro” – la catena di fast food Burger King finita infilzata come un pollo allo spiedo da Lor Signore.
Burger King voleva essere ironico, nel giorno della festa della donna. E già questo è un reato di lesa Maestà.
Ai consulenti marketing dovrebbe suonare un campanellino d’allarme giorni prima della fatidica data e suggerire saggiamente che, in quel periodo, il silenzio è oro.
Poi, come se non bastasse, Burger King voleva addirittura cogliere l’occasione per promuovere un corso di formazione per donne chef e le relative borse di studio finanziate dalla Fondazione della catena di fast-food.
È come mettere in un frullatore Menthos e Coca Cola lasciando aperto il coperchio.
Materia pericolosissima, avrebbe dovuto suggerire qualcuno all’orecchio dei vertici di Burger King. Una miscela esplosiva da tenere lontana dai fornelli.
Soprattutto se sei una multinazionale e, scavando scavando, qualcosa nel tuo passato viene fuori.
Per esempio una vicenda del 2018 per la quale l’azienda fu frettolosamente costretta a scusarsi.
Comunque, come capita sempre in questo casi, Burger King è stata costretta a fare una precipitosa marcia indietro – chiamarla fuga forse sarebbe più corretto – di fronte alle orde invasate di ultrafemministe inferocite per l’affronto.
L’incauto slogan suicida per promuovere le borse di studio per donne chef ha fatto capoccetta sul profilo Twitter dell‘account britannico di Burger King. Che ha voluto strafare. E ha scucito fior di quattrini per farsi vedere anche fra le pubblicità del New York Times dove campeggiava su sfondo rosso la scritta “Women belong in the kitchen”.
Quando si combinano disastri bisogna farli bene se ti chiami Burger King. Mica vogliamo farci parlare dietro che siamo pidocchiosi.
Accecate da quello sfondo rosso le ultrafemministe non si sono neanche soffermate un attimo sul resto dello slogan “Se (le donne) vogliono, ovviamente“.
E sono partite lancia in resta nella crociata contro Burger King.
Quei pochi che hanno cercato di difendere il fantozziano tentativo della catena di fast food di fare umorismo spicciolo l’8 marzo sono stati tritati in un attimo insieme agli hamburger dell’azienda.
Naturalmente in tutto questo sono improvvisamente spuntati come funghi gli esperti di marketing disponibili – a disastro compiuto, come sempre – a dire che sì, in effetti, Burger King ha sbagliato i modi. E anche il linguaggio. E pure la data.
Insomma, la famosa Legge di Murphy: se qualcosa può andar storto, stai pur certo che andrà peggio.
A finire con un colpo di grazia alla testa Burger King ci hanno pensato i Professori. Anzi le Professoresse. Con il dito alzato. Mica ce le abbiamo solo noi le ancelle del femminismo radicale. Le abbiamo anche esportate all’estero.
Burger King non ha il tipo di “capitale culturale” necessario per rendere autentico il suo messaggio sulla disparità di genere, ha sentenziato con grave severità Linda Tuncay Zayer, professore (o professoressa?) di marketing presso la Quinlan School of Business alla Loyola University di Chicago. Che ha aggiunto una frase orwelliana: “Burger King non ha autorità sull’uguaglianza di genere“.
Sembra di capire insomma che il prossimo passo sarà la famosa Autority per i diritti delle Donne.
L’azienda “ha in realtà una storia di pubblicità sessista“, ha infierito Susan Dobscha, professoressa (o professore?) di marketing alla Bentley University, riferendosi al famoso caso del 2018 nel quale la catena fu costretta a scusarsi.
“Puoi ancora usare l’umorismo, ma usare un’immagine misogina per stupire… semplicemente non è il momento culturale per farlo”, ha sancito Zayer facendo di Burger King una polpetta.