Poliziotti uccisi a Trieste, arriva la perizia: «Meran soffre di disturbo post-traumatico»
Poliziotti uccisi a Trieste arriva la perizia. «Stephan Meran Alejandro Augusto al momento dei fatti, era, per infermità, in tale stato di mente da scemare grandemente, senza escluderla, la capacità di intendere e di volere». Sono le conclusioni – in possesso dell’Adnkronos – a cui arrivano i periti incaricati dal gip di Trieste Massimo Tomassini di stabilire le condizioni del 30enne di origine domenicana che deve rispondere dell’omicidio dei due poliziotti Pierluigi Rotta e Matteo Demenego avvenuto negli uffici della questura di Trieste il 4 ottobre 2019.
Poliziotti uccisi a Trieste, la perizia
Il collegio di esperti – dagli psichiatri Mario Novello, Ariadna Baez e Gaetano Savarese e dalla psicologa Erika Jakovcic – «non ha ravvisato elementi che permettano di concludere che si sia trattato di un cosiddetto “reato di impeto” con grave alterazione o sospensione dello stato di coscienza per cause endogene o esogene”. In base a quanto è stato rilevato, «vi è stata una continuità psicopatologica e dello stato di coscienza e delle condizioni psichiche del periziando prima e dopo l’arrivo in Questura e durante la commissione dei fatti».
«Può partecipare al processo ma è rischio»
Meran «ha la capacità di partecipare coscientemente al procedimento. Ma è necessario considerare possibili oscillazioni delle sue condizioni psichiche che potrebbero transitoriamente far venire meno detta capacità». È uno dei passaggi della perizia.
In particolare, nella perizia in cui si riconosce la sua capacità di intendere e volere al momento del fatto e la sua pericolosità sociale, per il collegio di esperti «il periziando si aspetta un “giusto processo” e ha la capacità di partecipare coscientemente al procedimento”. Tuttavia, gli esperti sottolineano come tale capacità possa essere a rischio visto che dal 9 febbraio Meran si trovava in regime di Tso presso il servizio psichiatrico di diagnosi e cura di Borgo Trento a Verona. E «pertanto presumibilmente in condizioni di non poter partecipare al procedimento».
«Pericoloso, può uccidere ancora»
«A parere unanime e condiviso dei suoi componenti», Alejandro Stephan Meran, «si trova in una condizione psicopatologica instabile e precaria, complicata da variabili di carattere istituzionale, che potrebbe esporlo al rischio di commettere atti contro le persone o le cose e contro il suo stesso interesse».
«Soffre di disturbo post-traumatico»
«Disturbo post traumatico da stress complicato successivo al grave episodio di abuso (…) avvenuto nell’infanzia, e di altri eventuali e tale da condizionare in modo sostanziale il suo sviluppo e determinare esperienze psicopatologiche antecedenti lo sviluppo della psicosi e averne fornito almeno in parte “materiali” semantici, in una sorta di drammatico continuum». Rientra in questa categoria psicopatologia il disturbo di cui soffrirebbe Alejandro Stephan Meran.
La perizia degli esperti decreta la capacità di intendere e volere al momento dei fatti, la sua capacità di stare nel processo (anche se a rischio viste le condizioni attuali di salute) e riconosce la pericolosità sociale del 30enne di origine domenicana.
L’atteggiamento dell’imputato
L’atteggiamento dell’imputato – «oscillante e ondivago, ma mai realmente collaborativo» – porta i periti a condividere le conclusioni della perizia dei consulenti della procura. Secondo i quali «le specificazioni diagnostiche oscillano, pur all’interno del grande contenitore della psicosi, fra una forma di schizofrenia paranoide (orientamento dei sanitari tedeschi curanti) di un disturbo psicotico indotto da sostanze (parere peritale effettuato in Germania) di una forma di psicosi Nas (ovvero non altrimenti specificata, psichiatria di Borgo Trento), di un episodio psicotico (dimissioni da Borgo Roma), di una pregressa psicosi (osservazione psichiatrica condotta presso la casa circondariale di Verona)”, il tutto acuito da una “psicosi da cannabis” visto il presunto uso abituale da parte di Meran.
«Si sentiva perseguitato»
«Già dal giorno prima, ma certamente dal mattino del 4 ottobre il periziando si trovava in una condizione delirante di terrore psicotico e si sentiva immerso in una atmosfera persecutoria in cui percepiva l’esistenza di un complotto per ucciderlo, anche se era in grado di relazionarsi, di muoversi e di agire concretamente nella realtà». È uno dei passaggi della perizia in possesso dell’Adnkronos.
Per il pool l’inizio dei fatti può essere identificato all’arrivo davanti all’abitazione del 30enne di alcune macchine della polizia e di un’ambulanza – giunte dopo il furto di uno scooter messo a segno la mattina dal 30enne – «che lui ha interpretato come un complotto ovvero come la conferma della esistenza di un complotto ordito contro di lui e implicitamente contro il fratello», con cui vive un rapporto «diade con alcuni aspetti simbiotici».
«Mi sento innocente, mi sono difeso»
«Io mi sento innocente, mi sono difeso. Non volevo uccidere, l’ho fatto solo per difendermi. Mi aspetto una cosa giusta…una pena minima». Così Alejandro Stephan Meran risponde a chi gli chiede se è consapevole di quanto accaduto il 4 ottobre 2019.
«Se vogliono dirmi che posso andare a casa sarebbe una cosa bellissima», replica nei colloqui inseriti nella perizia psichiatria -in possesso dell’Adnkronos – che riconosce la sua capacità di intendere e volere al momento dei fatti. «È grave da una parte perché sono morti, ma da un’altra non lo è perché mi sono difeso, solo volevo difendermi», aggiunge l’imputato. «Ho commesso un bel guaio… sono morti due agenti di polizia».
Con la pistola in mano mi sono sentito Dio»
«Non ho mai imparato a sparare, non ho mai ucciso nessuno, non ho mai avuto uso di pistola, mi sono sentito posseduto dalla pistola in quel momento, in quel momento era l’adrenalina che mi saliva addosso, è inspiegabile quello che ho sentito, è una cosa che…non è per tutti la pistola, la pistola è una cosa che non è per tutti, io mi sono sentito posseduto, io mi sono sentito un Dio in quel momento, grande come un Dio, avere la pistola in mano, impugnare la pistola, non so se capite». Con queste parole Meran ricostruisce quanto avvenuto negli uffici della questura.
Frasi, riportate nella perizia in possesso dell’Adnkronos, pronunciate con “grande intensità emotiva ed espressiva” quasi a mimare i tre colpi di pistola esplosi contro l’agente Pierluigi Rotta e i quattro contro Matteo Demenego, intervenuto per soccorrere il collega. «Ti senti un Dio, ti senti l’adrenalina che sale nel sangue, nelle vene, io mi sentivo in quel momento, saltavo, saltellavo in quel momento (…), il motivo era che avevo questa pistola in mano e la vibrazione, la sparatoria, in quel momento lì è stata una cosa catastrofica…».