Premier in crisi: sconosciuti, deboli e ostaggio dei partiti. Quante analogie tra Conte e Goria

12 Gen 2021 15:51 - di Michele Pezza
Goria

Che cos’hanno in comune Giuseppe Conte e Giovanni Goria? Quale misterioso filo rosso può riannodare i destini politici dei due premier? A leggere il Fatto Quotidiano, che ha proposto il confronto, le analogie tra l’Avvocato del popolo e il politico dc prematuramente scomparso nel ’93, sarebbero molte. A cominciare dalla condizione di essere arrivati all’apice del governo nella condizione di illustri sconosciuti. Conte molto più di Goria, che almeno in politica stazionava già da tempo. Eppure non gli servì a scansare le perfide battutine in cui i democristiani eccellevano. La più insistente che circolava nel palazzo era: «Giovanni Goria di Francesco». La leggenda narra che a metterla in giro avesse provveduto personalmente Ciriaco De Mita. Vero o falso, non si sa. Di certo, l’avellinese era il più indiziato visto che a Palazzo Chigi sarebbe andato lui se l’insormontabile veto di Craxi non l’avesse azzoppato.

Goria fu sfiduciato dal Pli al 2%

La scelta del Quirinale era quindi caduta su Goria (come poi su Conte) in omaggio all’aureo principio che una personalità debole è anche priva di nemici insidiosi. Tuttavia, gli alchimisti del pentapartito dimenticarono il lato b dell’enunciato: poco polso scatena il caos. Al punto che a innescare la crisi fu il Pli di Altissimo che dall’alto del suo 2 per cento (poco meno di quanto i sondaggi attribuiscono a Renzi, terza analogia) ritirò l’unico ministro dal governo. Goria ne prese atto, si presentò dimissionario da Cossiga che le congelò. Il premier riottenne la fiducia dal Parlamento, che soli quattro mesi dopo lo licenziò per far posto a De Mita ormai affrancato dal niet di Bettino.

L’attuale premier tentato dalla sfida al Senato

Uno scenario che Conte firmerebbe a occhi chiusi: con quattro mesi sarebbe a un passo dal semestre bianco, periodo in cui al Capo dello Stato è inibito lo scioglimento delle Camere. Ma può fidarsi di Renzi? Chi gli assicura che una volta uscito da Palazzo Chigi possa rientrarvi? I partiti del tempo di Goria sono un ricordo. Ecco allora la tentazione dello scontro al Senato all’ultimo responsabile forte dello spauracchio delle elezioni anticipate. E un’opzione, ma se fallisce addio reincarico. Non andò meglio nel 2011 a Berlusconi: salito dimissionario al Quirinale dopo un voto che aveva evidenziato la dissoluzione della maggioranza, fu invitato da Napolitano a restare per approvare la legge di Bilancio. Roba di una settimana. Giusto il tempo per formalizzare la nomina a senatore a vita di Mario Monti.  Il resto è storia nota. Anche a Giuseppi.

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