Dopo Dpcm e decreti legge, anche la riforma elettorale: Conte preda di un delirio di impotenza
Una sgrammaticatura grande come una casa. Il ritorno al sistema elettorale proporzionale sarà pure «una musica» (copyright Rotondi), ma se ad annunciarlo è il governo diventa subito una canzone stonata. È questione di ruoli e di competenze. «La legge elettorale non è compito del premier. Questa è una prerogativa par-la-men-ta-re», ha scandito Emma Bonino nel suo intervento a Palazzo Madama. Con ragione. Ma tant’è: a forza di strappare, Giuseppe Conte ci ha preso gusto. Un Dpcm oggi, un decreto-legge domani e un Parlamento disposto a tutto pur di non tornare alle urne bastano e avanzano a chiunque per sentirsi onnipotente. E il premier non fa eccezione.
A decidere sul proporzionale è solo il Parlamento
Bastava ascoltarlo, del resto, per rendersene conto. Il suo annuncio in favore del proporzionale è apparso subito grossolano e posticcio, oltre che abusivo. Ne ha infatti parlato come «una legge di sistema», capace di «assicurare una complessiva stabilità». Affermazioni che potrebbero essere smontate nel merito una per una e che messe in insieme alla meno peggio, come ha fatto Conte, segnalano solo una preoccupante ignoranza della nostra storia politico-costituzionale. Ma del merito si discuterà a tempo debito, e di certo lo farà il Parlamento. Quel che rileva, invece, è il metodo di Conte. Come direbbe il Poeta, «e ‘l modo ancor m’offende». Infatti, il più avvelenato per la sortita del premier era il grillino Giuseppe Brescia, relatore della legge elettorale in gestazione nella Prima commissione della Camera.
Durare è l’unico obiettivo di Conte
Come lui, anche settori del Pd e di Leu. Malumori di fondo giunti a Palazzo Chigi sotto forma di retroscena giornalistici. Parlando stamattina al Senato, Conte le ha definite «interpretazioni maliziose». Soprattutto rispetto alle finalità dell’annuncio (catturare i voti sulla fiducia di centristi e anime in pena). Ma la sua prolissa giustificazione non ha giustificato un bel niente. Se possibile, la toppa si è rivelata peggiore del buco. Ma importa poco. La sgrammaticatura era poco più di un amo. Esattamente come il riferimento alla cultura «liberale, popolare, socialista», anch’esso vago e posticcio. L’importante – ragiona Conte – è che abbocchino quanti più pesce possibile. È questa l’unica certezza di questa crisi senza capo né coda.