Omicidio Pamela, Oseghale in aula. Il pg chiede l’ergastolo: ha ucciso e straziato il corpo per depistare

14 Ott 2020 16:30 - di Greta Paolucci
Pamela Oseghale in aula

Omicidio di Pamela, Oseghale in aula. Sguardo basso, scorta degli agenti penitenziari al seguito, Innocent Oseghale  torna alla sbarra per rendere conto alla giustizia dell’efferato omicidio della 18enne Pamela Mastropietro, di cui è l’unico imputato nel processo in corso al tribunale di Ancona. Maglione grigio e pantaloni blu, l’immigrato nigeriano raccoglie su di sé gli sguardi di tutti: reporter, fotografi, avvocati e togati. Proprio oggi, peraltro, sono attese le sue dichiarazioni spontanee. L’intervento annunciato da un paio di udienze a questa parte, in cui  l’uomo accusato di aver violentato e ucciso la 18enne romana per poi farne a pezzi il corpo e abbandonarlo in due trolley, proverà a difendersi. Ad accreditare una sua verità. Intanto, però, il procuratore generale di Ancona, Sergio Sottani, ha chiesto la conferma dell’ergastolo.

Omicidio Pamela, Oseghale in aula: tensione all’ingresso

L’atmosfera si fa subito incandescente in aula. Pochi minuti prima dell’ingresso del giudice Giovanni Trer, un agente della Polizia Penitenziaria allontana l’interprete da Innocent Oseghale. «Troppo nervoso», spiega il poliziotto che lo sorveglia. Poi, prende la parola il difensore di parte civile: «Oggi dobbiamo garantire un processo giusto in appello per arrivare a una sentenza giusta», esordisce il legale. Oseghale è stato condannato all’ergastolo per omicidio volontario aggravato dalla violenza sessuale, distruzione e vilipendio di cadavere.

Coltello e mannaia, le armi ancora insanguinate usate per la mattanza

E nell’aula il procuratore generale di Ancona, Sergio Sottani, mostra le foto delle armi trovate nell’appartamento di via Spalato, a Macerata, con ancora le tracce del sangue della 18enne. Incancellabili, nonostante l’uso della varechina. «Il coltello è l’arma del delitto. La mannaia è stata usata per scuoiare. Decapitare. Fare a pezzi e disarticolare Pamela», spiega il procuratore al giudice Trerè, scusandosi per i dettagli del suo racconto. Particolari agghiaccianti, ascoltati dalla mamma della vittima alle sue spalle, col capo chino e la mano sulla mascherina.

«Pamela non è morta per overdose, ma per le lesioni»

Oltre alle foto, in aula riecheggiano anche parti della relazione fatta dal medico legale Mariano Cingolani il 6 aprile 2018, in merito alle lesioni sul corpo della ragazza, morta tra la tarda mattinata e il primo pomeriggio del 30 gennaio 2018. «Pamela non è morta di overdose, lo dicono le prove. E se non è morta per overdose è morta per lesioni. Da lì l’attività di depistaggio messa a punto da Innocent Oseghale attraverso lo scuoiamento. La decapitazione. Il deprezzamento e la disarticolazione», ha detto ancora Sottani, concludendo il suo intervento.

Il depistaggio partito dove sono stati inferti i colpi

«Il depistaggio è avvenuto proprio dove sono stati inferti i colpi. O dove sarebbe stato possibile provare il rapporto sessuale – ha spiegato –. Quindi nel collo, nella vagina, sul seno e all’altezza del fegato. È stata un’operazione fatta non nella fretta, per far sparire il corpo. Ma per eliminare le tracce del reato. E infatti, così, i consulenti non hanno potuto fare accertamenti più precisi». Non per niente, a riguardo, i giudici danno l’ok alla proiezione sullo schermo dell’aula di uno stralcio della sentenza della Corte d’Assise di Macerata. Un documento che parla delle «inquietanti capacità mimetiche e simulatrici dell’imputato».

«Le inquietanti capacità mimetiche e simulatrici dell’imputato»

«Ci aspettiamo la richiesta di conferma della sentenza di I grado del Procuratore – ha spiegato all’Adnkronos l’avvocato Simone Matraxia, difensore di Oseghale insieme al collega Umberto Gramenzi – e chiederemo la riforma parziale della sentenza che punta a escludere l’aggravante della violenza sessuale. Come pure alla riqualificazione dell’omicidio in morte come conseguenza di altro reato». Nell’udienza di domani, dove difficilmente si arriverà a sentenza, le parti rassegneranno le proprie conclusioni.

Le parole della mamma di Pamela, in aula come sempre

«Sono qui, lui è così vicino. Ma io non sono come lui, io vorrei parlarci un giorno», ha detto all’Adnkronos Alessandra Verni, mamma di Pamela Mastropietro, presente anche oggi in aula. La donna non distoglie mai lo sguardo da Oseghale. Seduto a pochi passi da lei. E come l’ultima volta, anche oggi ascolterà la ricostruzione degli ultimi, terribili, attimi di vita della figlia. «Se è dura? Lo è tutti i giorni – dice –. Ma non posso mancare. Sono qui per quello che hanno fatto a Pamela. E perché voglio giustizia».

 

 

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