In un vicolo cieco, Conte fa ancora melina: le scuole restino aperte. O anche no

31 Ott 2020 18:06 - di Lara Rastellino
Conte sulla scuola

Conte sulla scuola: il premier fa ancora melina. Le classi restino aperte. O anche no. Insomma, sulla didattica in presenza il presidente del Consiglio dimostra di avere poche idee e ben confuse. L’impennata dei contagi e i governatori pronti a decidere in autonomia, spingerebbero il premier ad una resa. O forse no. Così, se da un lato Conte sulle scuola mette le mani avanti paventando l’interruzione della didattica in presenza. Dall’altro insiste a rassicurare tutti, ministra Azzolina compresa, sulla scuola a classi aperte. Nel frattempo però, si fanno sempre più insistenti le voci su un nuovo Dpcm. Un provvedimento che potrebbe contenere misure più stringenti anche sull’istruzione. Non a caso, Conte sulla scuola poco fa ha ammesso: «Stiamo realizzando una strategia a livello nazionale. Abbiamo adottato misure che, purtroppo per la rapida ascesa del contagio, si sono succedute. Ma nel frattempo a livello regionale i governatori stanno adottando misure ancora più restrittive. Il quadro nazionale di provvedimenti speriamo serva a contenere e mitigare il contagio. E nello stesso tempo, è un quadro integrato da decisioni regionali», ha aggiunto il premier. Mischiando tutto e il contrario di tutto.

Conte sulla scuola: poche idee e ben confuse

Certo, per ora Conte ancora non si sbilancia definitivamente. Ma intanto ammette tra le righe di prendere in considerazione lo stop alle lezioni in classe. E pur riconoscendo che «la scuola non è tema solo culturale». E dunque che «interagire solo con dispositivi elettronici. Confrontarsi senza guardarsi negli occhi», rischia di «oscurare il valore del rapporto interpersonale». Il premier in collegamento con la Festa del Foglio, a stretto giro aggiunge anche: «La curva del contagio ha avuto un’impennata così ripida che rischia di mettere in discussione la didattica in presenza». Salvo poi specificare comunque di ritenere «di dover continuare a difendere per quanto è possibile, e pensiamo sia possibile, la didattica in presenza. Mantenendoci vigili per seguire e assicurare l’obiettivo primario: la salvezza del Paese».

Il contagio mette a rischio la didattica in presenza

Tante belle parole che fanno capire come le intenzioni sarebbero anche chiare. Ma il modo per tradurle in atti e decreti: decisamente meno. Quel che è certo è che Conte, tirato per la giacchetta da sindaci e presidenti di regione che premono da un lato. Richiamato a un confronto dovuto, oltre che costruttivo, dall’opposizione di centrodestra, dall’altro, non abbia ancora centrato gli obiettivi nel mirino. Almeno sulla scuola. Un argomento rispetto al quale, se da un lato si mostra pronto alla resa. Dall’altro insiste a dire: «Tenere aperto finché possibile». Nel frattempo, però, come riferisce Il Giornale in un suo servizio sul tema, «per la città di Milano e la sua provincia la nuova serrata potrebbe essere più vicina di quanto si pensi. Si parla del prossimo lunedì. E non è escluso che le misure possano essere allargate anche ad altre metropoli italiane». Dunque, ancora una volta, il quadro di disomogeneità che arriva dal governo confonde famiglie e studenti.

E uno studio dell’Università di Edimburgo…

Intanto, uno studio dell’Università di Edimburgo pubblicato su Lancet, e presentato anche dal sito Orizzonte Scuola, parla chiaro. Il report, rilanciato anche dal virologo dell’Università San Raffaele di Milano, Roberto Burioni, sul suo sito MedicalFacts, analizza l’impatto dei diversi provvedimenti sui contagi dopo avere studiato quanto accaduto in 131 Paesi. Ebbene, secondo l’analisi in oggetto, «la chiusura delle scuole da sola potrebbe ridurre la trasmissione del 15% dopo 28 giorni». Mentre «la riapertura delle aule potrebbe aumentare la trasmissione del 24% dopo 28 giorni».

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