Su no-mask e no-vax l’ultima capriola di Di Maio: da compagni di merende a nemici giurati

5 Set 2020 19:14 - di Niccolò Silvestri
Di Maio

Luigi Di Maio non fa più notizia. Una giravolta dopo l’altra. Come croccanti patatine addentate nel buio di un cinema: cronk cronk. Ha ingoiato tutto pur di non sollevare le terga dall’odiata poltrona: Tap, Tav, Ilva, Muos, F35, «mai con la Lega», «mai con quelli di Bibbiano», «mai con Renzi». E sempre con quel fastidioso cronk cronk in sottofondo. Uno sgranocchiatore di promesse elettorali, il prode Giggino. L’ultima proprio in queste ore. E senza imbarazzo alcuno, ma con l’aria spavalda di chi è sicuro di non aver mai detto prima l’esatto contrario. Così va il mondo.

La Morani (Pd) definì il M5S «pericolo per la salute pubblica»

E così va Di Maio impancatosi in un amen a fustigatore di negazionisti, no-mask e no-vax come se fino a ieri non fossero stati proprio questi i suoi compagni d’avventura. L’ex-capo politico del movimento basato sul principio dell'”uno vale uno” che si erge a paladino dell’ufficialità scientifica non è spettacolo di tutti i giorni. Eppure è lo stesso che solo due anni fa, nel gennaio 2018, annunciava battaglia al decreto Lorenzin sull’obbligatorietà dei vaccini. «Noi Cinquestelle trasformeremo l’obbligo in una raccomandazione», annunciò raggiante dai microfoni di Un giorno da PecoraParole che fecero fremere d’ira e di indignazione il Pd, oggi suo alleato. Così replicò una dirigente di peso come Alessia Morani: «Il M5S è un vero pericolo per la salute pubblica».

Di Maio insuperabile nelle giravolte

Da allora sono passati due anni. E due governi. In compenso, il «vero pericolo», cioè Di Maio, ha messo la testa a posto e non crede più che una strambata di Paola Taverna sul Covid equivalga ad una tesi espressa da Andrea Crisanti o che la Francia si regga su una «democrazia millenaria» da difendere facendosi immortalare al fianco di Cristophe Chalençon che un sabato sì e l’alto pure si divertiva a mettere Parigi a ferro e a fuoco con i suoi Gilet gialli. È una fortuna che in Italia ci siano solo quelli Arancioni e, per giunta, al servizio del generale Pappalardo. Che in fondo rappresenta quel che Giggino, invecchiando, sarebbe diventato se solo le sue terga non fossero rimaste folgorate sulla via della poltrona.

 

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