Referendum, il M5S cambia spartito: ora il successo del “sì” sarebbe «la vittoria di tutti»
«Questa riforma è stata voluta dal M5S, ma non è del Movimento, è di tutti». Parole impegnative, queste del questore della Camera Massimiliano D’Uva. Perché, se non altro, marcano una differenza di toni rispetto al referendum sulla riduzione del numero dei parlamentari. Quando il successo del “sì” appariva scontato, i grillini si rifiutavano di condividerlo. Ora che invece i sondaggi danno in risalita il fronte del “no“, sembrano quasi vogliano socializzare una l’eventuale sconfitta. Che il clima tra i i Cinquestelle stia cambiando è testimoniato anche da altri dettagli. Innanzitutto, il tour pro-Sì organizzato in sei regioni da un Di Maio ormai completamente distante dalla contesa sui governatori.
Di Maio snobba le “regionali”: impegno solo sul referendum
L’ex-capo politico del M5S sa bene che il vero rischio per lui arriva dal referendum e non dalle elezioni regionali. Un secondo indizio arriva dai social. La pagina Fb di Di Maio è subissata da commenti di persone che lo accusano di aver tradito l’impegno sul taglio degli stipendi. Un terzo indizio, infine, si intravede nell’affannosa ricerca da parte dei grillini di cogliere qualsiasi occasione per lucidare l’ormai ossidata battaglia anti-Casta. Così, persino la partecipazione di Roberto Formigoni ad una manifestazione anti-taglio diventa un buon motivo per suonare la carica. È quel che ha fatto il capogruppo del M5S al Pirellone, Massimo De Rosa. Nella foga manettara ha invertito i concetti di diritto e di dovere partorendo una dichiarazione ai limiti del comico. Eccola: «Il condannato Formigoni ha il diritto di pagare per i reati commessi, non certo il dovere di tornare a pontificare in piazza». Una prece.
Nel centrodestra in 200 si appellano ai leader: «Votiamo “no”»
Un taglio, tuttavia, il referendum lo ha già ottenuto: quello delle aree politiche. Tra gli esponenti del Pd il “no” pesca a piene mani. C’è attesa per la posizione del sindaco di Milano Giuseppe Sala. Nel frattempo, ben cinque suoi assessori si sono discostati dalla linea di Zingaretti. Nel centrodestra, invece, circola un documento firmato da oltre 200 tra amministratori, politici e società civile, che chiede ai tre leader di rivedere il loro “sì”. Tra chi comincia a sentire puzza di bruciato c’è anche Matteo Renzi: «La legge sottoposta a referendum – avverte – è solo uno spot».