Giustizia, il papocchio di Bonafede non piace a nessuno. I penalisti: «Riforma gattopardesca»
Allacciamoci le cinture e prepariamoci ad affrontare le turbolenze che fatalmente scatenerà il disegno di legge delega sulla giustizia targato Bonafede, appena sfornato dal Consiglio dei ministri. Le avvisaglie di tempesta si colgono sin dalle primissime dichiarazioni. Inevitabile, del resto se solo si pensa che nel piatto apparecchiato dal ministro c’è un po’ di tutto: dall’adeguamento dell’ordinamento giudiziario militare alle norme sull’eleggibilità e ricollocamento in ruolo dei magistrati per finire al sistema elettorale del Csm. I primi a dissotterrare l’ascia di guerra sono i penalisti.
Caiazza: «Il testo Bonafede non cambierà nulla»
Il loro presidente, Gian Domenico Caiazza, ha salutato il provvedimento di Bonafede bollandolo come «una riforma gattopardesca che sembra voler riformare tutto ma non riformerà nulla». Un giudizio severo che Caiazza motiva con l’assenza di «interventi decisivi» su quello che definisce «caso di distorsione italiano unico al mondo». Vale a dire «l’automatismo di carriera», la vera causa, suo dire, dello strapotere delle correnti. È dal 1970 che i magistrati fanno carriera solo per età. «Sono state eliminate- ricorda Caiazza – le promozioni basate sulle valutazioni di merito». Per cui, si entra da uditori e si finisce con stipendi da giudici di Cassazione. Sempre nel nome dell’automatismo. Caiazza definisce poi «devastante» è la riforma del sistema elettorale del Csm. «Consegnerà la giustizia in mano alle procure», spiega. Del resto, è quel che già accade oggi nell’Anm, il sindacato delle toghe.
Il togato Sabella: «Chemioterapia per estirpare le correnti»
Critico con il teso Bonafede è anche un togato come Alfonso Sabella. La sua ricetta per liberare la magistratura dal cancro delle correnti è, almeno terminologicamente, appropriata: la «chemioterapia del sorteggio puro». Diversamente, avverte, «non sarà possibile scardinare il sistema». Molto critico Sabella è anche sul capitolo delle cosiddette “porte girevoli“, cioè l’ingresso delle toghe in politica seguito dal ritorno in tribunale. «I limiti – ricorda – ci sono già, ma si applicano solo ai peones. Per gli amici, invece, si interpretano». Lo dice da ex-assessore comunale a Roma. Per il tempo trascorso in Campidoglio, a lui il Csm li ha applicati in maniera persino severa: metà stipendio per quei dieci mesi e addirittura senza per i successivi otto. Tutt’altro trattamento hanno ricevuto altri «perché – denuncia – fratelli di qualche esponente importante di una corrente».