Un anno fa l’addio a Franco Pontone, pilastro della destra napoletana. I sorrisi, le lacrime

2 Lug 2020 10:17 - di Girolamo Fragalà
Pontone

Un amico. Soprattutto un amico. Questo era Franco Pontone, uno dei maggiori protagonisti della politica napoletana. È un anno che è volato via, lasciando un grande vuoto in quella comunità di destra che ha difeso contro tutto e contro tutti, nei momenti difficili e meno difficili, nelle sconfitte e nelle vittorie. «Non dimenticarmi», così disse sussurrando nel corso della sua ultima telefonata. Sì, proprio così, «non dimenticarmi». La voce era sofferente, sapeva che gli sarebbe rimasto poco. Poi qualche attimo di silenzio. Non fu facile continuare il discorso. Lui, sempre ironico, sempre sorridente, non voleva mai affrontare certi argomenti. Anche per superstizione, perché Pontone – da buon napoletano – non accettava nemmeno di stare in 13 a tavola.

Quell’ultima telefonata con Pontone

«Senatore, che cosa sono questi discorsi? Sursum corda, qui la situazione politica si complica». E lui, sempre a bassa voce, a mo’ di testamento politico: «Ricorda di votare sempre dove c’è la Fiamma nel simbolo, fallo anche per me». Già, la Fiamma, il suo grande amore, la sua grande passione. Il Msi, Giorgio Almirante, An. Ricoprì ruoli di vertice. Elencarli tutti è quasi impossibile. Fu consigliere comunale, senatore, sottosegretario all’Industria, segretario amministrativo del partito. Ma soprattutto un militante. Dopo anni e anni di politica, però, quando saliva sul palco si emozionava, come se fosse al debutto. Poi finiva il discorso, tornava al suo posto e la prima domanda era: «Com’è andata?». Bastava un gesto d’intesa per fargli tornare il sorriso.

La famiglia, gli amici e quella sofferenza…

Amava il suo mondo fatto di famiglia, amici e politica. Non riusciva a tenerli distinti e distanti. La moglie era un punto di riferimento solido, teneva conto dei suoi giudizi («Pia ha detto che…»). Nelle serate romane Pontone parlava spesso dei suoi figli, Michele e Maria. Era orgoglioso di loro. Poi gli amici, il grande affetto per chi gli stava vicino e i momenti di terribile sofferenza, come nei giorni della tragica morte di Anastasio Tricarico, uno dei suoi pupilli, giovane di talento. «Non lo abbiamo capito», il suo rammarico. Per la prima volta non nascose le lacrime. Inutile dirgli che era impossibile capire e che certe vicende possono anche non avere un perché. E Nanà se n’era andato in silenzio, nascondendo nei sorrisi il suo buco nero.

Un’amicizia indistruttibile

I congressi di partito, altri momenti in cui metteva il massimo impegno. La battaglia per Almirante sindaco, la legge per la Festa dei nonni. Sempre con correttezza, sempre con eleganza. I battibecchi con l’altro suo grande amico,. Alfonso Bernardini. Gli incontri con Maurizio Gasparri. La “mitica” sezione Chiaia, con i ragazzi che ce la mettevano tutta nelle campagne elettorali. Le passeggiate domenicali nel quartiere. E se la rideva quando i “suoi” erano chiamati “pontoniani”: «È un’etichetta che non ti scrollerai mai di dosso». Sapeva che non era un’etichetta, ma la prova di un’amicizia indistruttibile. Che andava al di là di tutto. E che dura ancora oggi, a un anno dalla sua scomparsa. Ciao, Franco. Ciao, senatore Pontone.

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