Rapporto Istat: meno lavoro, meno figli. Il Covid aumenta le diseguaglianze sociali
Cattive notizie dal rapporto annuale dell’Istat illustrato dal presidente Gian Carlo Blangiardo. “Disuguaglianze significative” attraversano il Paese accentuate dall’emergenza sanitaria. Con effetti negativi sulla società e sull’economia italiana. Più disoccupazione, sofferenza negli strati più deboli della popolazione, denatalità in crescita.
Istat, 12 per cento di imprese a rischio
Il mercato del lavoro si restringe: il 12% delle imprese pensa di tagliare. Colpendo maggiormente giovani e donne. La didattica a distanza svantaggia bambini e ragazzi del Mezzogiorno. Che già vivono in famiglie con un basso livello di istruzione. La natalità potrebbe scendere ancora. Anche se gli italiani hanno voglia di figli.
Uno dei maggiori problemi per gli italiani riguarda la liquidità. I contraccolpi sugli investimenti, si legge nel 28esimo rapporto dell’Istat, “rischiano di costituire un ulteriore freno. Preoccupante che il 12% delle imprese sia propensa a ridurre l’input di lavoro”. Dai dati provvisori emerge inoltre che i lavoratori in Cig ad aprile – sono stati quasi 3,5 milioni. E, sempre ad aprile, quasi un terzo degli occupati (7,9 milioni) non ha lavorato. Cresciuti anche i lavoratori in ferie. “L’epidemia ha colpito maggiormente le persone più vulnerabili”. Lo testimoniano i differenziali sociali riscontrabili nell’eccesso di mortalità causato dal Covid. Secondo l’istituto “l’incremento di mortalità ha penalizzato di più la popolazione meno istruita”.
Tra i giovani mobilità sociale in giù
Tra i dati preoccupanti la mobilità sociale verso il basso. Per l’ultima generazione (1972-1986), la probabilità di accedere a posizioni più vantaggiose invece che salire è scesa. Il 26,6% dei figli rischia un ‘downgrading’ rispetto ai genitori. Una percentuale, praticamente più di 1 su 4, Superiore rispetto alle generazioni precedenti. E anche più alta di quella in salita (24,9%). Cosa che non era mai accaduta prima.
Scolarizzazione, l’Italia fanalino di coda nell’Ue
L’Italia presenta, inoltre, livelli di scolarizzazione tra i più bassi dell’Unione europea. Nel 2019, nell’Ue27 (senza il Regno Unito), il 78,4% degli adulti tra i 25 e i 64 anni possedeva almeno un diploma secondario superiore. In Italia, l’incidenza è del 62,1%, di oltre 16 punti inferiore. In Italia hanno almeno un diploma quasi i tre quarti dei giovani tra i 30 e i 34 anni. Ma nell’Ue27 la media è dell’84%. Il divario è maggiore, e crescente, se si considerano i 30-34enni con titoli universitari, pari al 27,6% nel nostro paese (ultimo nell’Unione insieme alla Bulgaria), contro il 40,3% per l’Ue.
“La rapida caduta della natalità potrebbe subire un’ulteriore accelerazione nel periodo post-Covid”. Le simulazioni mettono in luce un suo primo effetto nell’immediato futuro. Un calo che dovrebbe mantenersi nell’ordine di poco meno di 10mila nati. Ripartiti per un terzo nel 2020 e per due terzi nel 2021″. E La prospettiva peggiora se si tiene conto dello shock sull’occupazione. I nati scenderebbero a circa 426mila nel bilancio finale del corrente anno. Per poi ridursi a 396mila, nel caso più sfavorevole, in quello del 2021″.
L’Istat registra una “bassa fecondità, “in costante calo dal 2010”. Ma, al contempo, un “diffuso” ed “ancora elevato” desiderio di maternità e paternità. Il modello ideale di famiglia contempla infatti due figli. È così per il 46% delle persone. Il 21,9% ne indica tre o più. Solo per 500mila (tra i 18 e i 49 anni) fare figli non rientra nel proprio progetto di vita. Ma l’Istat sottolinea anche come il Paese abbia reagito positivamente all’emergenza covid. “Il segno distintivo” nel lockdown è stato di “forte coesione”. Le criticità strutturali del Paese, quindi, possono costituire “leve della ripresa”.