Rapporto choc dell’Istat, i poveri in Italia raddoppiati in pochi anni
Ha un bel dire Gentiloni che l’Italia s’è «rimessa in piedi». La verità è ben diversa ed è una verità amara: dal governo Monti in poi l’Italia ha perso ricchezza. A essere maggiormente colpiti da questo processo sono le fasce popolari e il ceto medio. Le ultime tabelle pubblicate dall’Istat fotografano una realtà drammatica: i poveri italiani sono raddoppiati in pochi anni. Se nel 2006 erano 2,3 milioni, nel 2016 sono diventati 4,7 milioni con un incremento del 106,9%. In forte crescita anche il numero delle famiglie in difficoltà, che nello stesso periodo aumentano del 67,2%, passando da poco meno di un milione a 1,6 milioni.
Nell’Italia centrale il maggior incremento poveri
L’incremento maggiore di famiglie in povertà assoluta, in termini percentuali, si registra nelle regioni del centro (+133,8%); seguite da quelle del nord (+62%) e del sud (+52%). In termini assoluti, invece, la crescita più elevata riguarda il sud, dove si è passati da 460.000 nuclei in difficoltà nel 2006 a 699.000 nel 2016, seguita a stretto giro dal nord (da 376.000 a 609.000); mentre al centro da 133.000 si è passati a 311.000 famiglie povere.
Aumento tariffe, grave impatto sulle famiglie
Con l’aumento delle tariffe deciso dal governo Gentiloni la situazione è destinata a peggiorare ulteriormente. «Non basteranno la mancetta di 80 euro di Renzi, neanche il bonus bebè e nemmeno gli arretrati e gli aumenti agli statali, che decorreranno da quest’anno, a coprire gli aumenti per consumi, tariffe, trasporti (97 euro), luce e gas, assicurazioni (25 euro), pedaggi autostradali (40 euro), ticket sanitari (18 euro), spese bancarie e postali (38 euro), Tari (49 euro), sacchetti biodegradabili per la spesa»: così Riccardo Pedrizzi , presidente di Casaconsumproprietà, associazione aderente a Federproprietà. Di queste famiglie e di questi poveri, osserva infine, «si sarebbero dovuti interessare, governo, parlamento e forze politiche in questa legislatura piuttosto che impantanarsi in dibattiti e normative che non interessano nessuno. Non c’è alternativa dunque che voltare pagina il prossimo 4 marzo».