Palamara “processa” le correnti delle toghe: sistema degenerato, carrierismo sfrenato

18 Lug 2020 14:39 - di Roberto Frulli

In vista dell’avvio del processo disciplinare a suo carico davanti al collegio della sezione del Csm, previsto con l’udienza di martedì prossimo, 21 luglio, Luca Palamara avverte i suoi colleghi che quel processo al quale vogliono sottoporlo non sarà una passeggiata di salute per nessuno. Né per lui, né per gli altri, i suoi colleghi.

Quelli che lo giudicheranno, a vario titolo. E quelli che, comunque, stanno seguendo gli esiti di questa vicenda che traccia, necessariamente, uno spartiacque, un prima e un dopo, nella giustizia e nella magistratura.

In discussione, dovunque, al Csm come all’Associazione Nazionale Magistrati che lo ha espulso, così come nel processo che si celebrerà ad un certo punto a Perugia, Palamara vuole portare sul banco degli imputati il sistema degenerato delle correnti della magistratura, il carrierismo sfrenato che di quel sistema si nutre, i rapporti vischiosi, anche con la politica.

“Non voglio fare ‘muoia Sansone con tutti i filistei‘ – dice Palamara ai microfoni di Radio Radicale, in vista dell’avvio del processo disciplinare a suo carico. – Ma è necessario un ragionamento serio su come il sistema delle correnti si è sviluppato. E su come ha influenzato la vita della magistratura ma anche la vita politica del Paese”.

Un obiettivo ambizioso, quello dell’imputato Palamara, che apre scenari temuti da chi pensava e continua a pensare di circoscrivere il caso Palamara a un processetto al potentissimo ex-capo dell’Anm, il battagliero sindacato delle toghe. Che è, poi, all’origine della deviazione istituzionale del potere giudiziario.

“Il sistema delle correnti, dopo le vicende emerse dolorosamente legate al mio nome, è arrivato a un punto di non ritorno”, affonda ancora, impietoso, il coltello, Luca Palamara.

E’ un sistema, prosegue spietato, “che introduce un carrierismo sfrenato. Che – ammette – ha fatto perdere la bussola anche a me”.

Ma si illude, aggiunge Palamara, chi pensa che la questione possa risolversi in seno alle stesse toghe. Che hanno ampiamente dimostrato di essere dilaniate nello scontro fra correnti e, quindi, incapaci, di trovare loro stesse una soluzione.

“L’autoriforma da sola non basta a risolvere i problemi”, insiste Palamara.

“Sono convinto che il sistema deve cambiare ma serve un ragionamento su come. Ci sono due anime nella magistratura, chi ritiene che tutto si risolva con l’autoriforma e chi crede che non sia sufficiente e che debba intervenire la politica. Nessuno ha la ricetta migliore”, aggiunge Palamara

Che rivendica anche, con forza, il suo diritto alla difesa e ai suoi 133 testimoni che ha citato, compreso il consigliere del Csm Davigo che lo dovrà giudicare. E che si ritrova, così, nella doppia scomoda veste di giudice e di testimone di Palamara.

I 133 testimoni proposti alla sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura “sono funzionali a esplicare il mio sacrosanto diritto alla difesa – dice Palamara. – Devo potermi difendere. E, per farlo, devo dimostrare che i fatti di cui sono incolpato non si sono verificati. Lo faccio rispettando le norme e per la mia difesa i testimoni indicati sono fondamentali”.

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