Open Arms, il Senato dice “sì” al processo. Salvini: «Hanno vinto vigliacchi e scafisti»

30 Lug 2020 18:59 - di Michele Pezza
Salvini

Com’era ormai prevedibile, alla fine il Senato ha detto “sì” al processo a Salvini inchinandosi alla giustizia politicizzata emersa in tutta la sua devastante evidenza nelle chat sequestrate all’ex-pm Luca Palamara. I voti a favore sono stati 149, 141 i contrari e un astenuto. Il leader leghista ha accolto il voto che lo manda alla sbarra con una frase che s’annuncia già come un programma elettorale: «Sono orgoglioso di aver difeso l’Italia». In effetti, quella che ha scritto l’aula di Palazzo Madama è una pagina bruttissima. Non si manda a processo un leader politico, per altro oggi all’opposizione, sulla base di motivazioni tutte politiche. In pratica per aver tenuto fede al proprio patto con gli elettori.

Con 149 voti favorevoli, 141 contrari e 1 astenuto

Non tutti nella maggioranza hanno portato il cervello all’ammasso. Il socialista Riccardo Nencini, ad esempio, non si è intruppato tra le tricoteuse ansiose di patibolo. Per lui Salvini è un «politico da combattere senza sconti, ma con armi politiche». Senza considerare le responsabilità collegiali dell’intero governo. E le domande restano sospese a mezz’aria. Nencini ne cita alcune: «Ha deciso da solo? Perché Palamara e un collega magistrato parlano di processo politico, di processarlo comunque anche se non ci sono gli estremi?».

Salvini cita la Costituzione ed Einaudi

È in fondo quel che dice anche Salvini. «Contro di me – lamenta – festeggiano i Palamara, i vigliacchi, gli scafisti e chi ha preferito la poltrona alla dignità». Il leader leghista, che non ha mancato di rimarcare l’aumento esponenziale degli sbarchi, ha citato l’articolo 52 della Costituzione («la difesa della Patria è sacro dovere del cittadino») ed ha ricordato le parole di Luigi Einaudi: «Quando la politica entra nella giustizia, la giustizia esce dalla finestra». Le sue parole tradiscono la giusta sete di rivincita: «Non mi farò intimidire. Per tutti i parlamentari, presto o tardi, arriverà il giudizio degli elettori».

 

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